Un matrimonio cristiano quando e come può essere annullato?
Giovanni Paolo II disse: “Il fallimento dell’unione coniugale non è mai in sé una prova per dimostrare tale incapacità dei contraenti, i quali possono avere trascurato, o usato male, i mezzi sia naturali che soprannaturali a loro disposizione, oppure non avere accettato i limiti inevitabili ed i pesi della vita coniugale, sia per blocchi di natura inconscia, sia per lievi patologie che non intaccano però la sostanziale libertà umana. Una vera incapacità è ipotizzabile solo in presenza di una seria forma di anomalia che comunque si voglia definire, deve intaccare sostanzialmente la capacità di intendere o volere del contraente.”
Infatti, secondo la nostra fede cattolica, il Sacramento del matrimonio è uno e inscindibile; non si può annullare, se non viene dimostrato che era già nullo in partenza, al momento della cerimonia.
Ciò implica che, se si vuole chiedere l’annullamento di un matrimonio, si deve dimostrare che sussistano delle cause di nullità, che ne minino la validità iniziale (nullità “ab initio”).
In quel caso, il tribunale ecclesiastico (la Sacra Rota) sancirà la nullità del vincolo e scioglierà i coniugi dai loro diritti e dai loro obblighi.
La Conferenza Episcopale Italiana ha stabilito 18 tribunali regionali, per le cause di nullità matrimoniale.
Il Diritto Canonico Cattolico, poi, indica quali possano essere le motivazioni per avviare una causa del genere:
• L’impotenza (can. 1084 c.i.c.).
Riguarda l’incapacità, sia dell’uomo che della donna, di compiere l’atto sessuale e deve essere antecedente al matrimonio, nonché permanente.
• Incapacità per insufficiente uso di ragione (can. 1095 n. 1 c.i.c.).
Si riferisce a coloro che, mentre contraggono il matrimonio, non sono in grado di usare la ragione, per comprenderne gli obblighi, anche se è uno stato momentaneo, come quello indotto dall’uso di farmaci, alcool, sostanze stupefacenti.
• Incapacità per difetto di discrezione di giudizio (can. 1095 n. 2 c.i.c.).
Riguarda chi non riesce a rendersi conto, nel momento del matrimonio, delle conseguenze di quel legame, sia per se stesso, sia per il coniuge.
• Incapacità per cause di natura psichica (can. 1095 n. 3 c.i.c.).
Si parla di psicopatologie serie, che minano la capacità di esercitare una libera volontà e riguardano anche il narcisismo, il transessualismo, il lesbismo, la ninfomania, il voyerismo, il sadismo, il masochismo, la noncuranza o negligenza strafottente (menefreghismo), il satirismo, l’alcolismo cronico, la tossicodipendenza …
• Ignoranza (can. 1096 c.i.c.).
In questo caso, chi si sposa non è a conoscenza che sta contraendo un Sacramento, che prevede l’unione permanente tra l’uomo e la donna, atta anche alla procreazione.
• Errore (can. 1097 § 1 e § 2 c.i.c.).
Riguarda la falsa conoscenza della realtà matrimoniale, ma anche della persona con cui ci si sposa e di alcune sue peculiarità fondamentali, nonché delle sue intenzioni.
• Dolo (can. 1098 c.i.c.).
In questo caso, si parla di un vero e proprio inganno, voluto coscientemente, per estorcere all’altro coniuge il consenso al matrimonio (può essere fatto anche da terze persone).
• Simulazione o esclusione (can. 1101 c.i.c.).
Ci si riferisce alla incongruenza tra volontà interna e manifestazione esterna, come quando uno dei coniugi interpreta il rito come una rappresentazione teatrale e nega che sia un Sacramento; come quando si esclude la possibilità di avere una prole nel corso del matrimonio o si annienta l’unità coniugale esclusiva, accettando altre relazioni sessuali, con persone diverse dal coniuge.
• Condizione (can. 1102 c.i.c.).
Riguarda la convinzione di contrarre il matrimonio a condizione che si verifichino certe situazioni futura: “Ti sposo a condizione che tu sia un avvocato (condizione presente).” Nel caso dell’esempio, il matrimonio sarà valido solo se, al momento della celebrazione, il coniuge è un avvocato.
• Timore o Metus (can. 1103 c.i.c.).
Si tratta di un matrimonio celebrato in vista di un pericolo immediato, proveniente dall’esterno.
• La forma canonica (can. 1108 e seg. c.i.c.)
Si verifica quando il sacerdote/celebrante non ha i requisiti per ufficializzare il Sacramento del matrimonio.