Soldato americano salvato dal rosario mentre era prigioniero in Vietnam

 

C’è un racconto di un soldato scampato ad una dura prigionia nella giungla del Vietnam che, nonostante sia datato nel tempo, non ha perso la sua efficacia. Questo ragazzo poco più che ventenne era stato mandato al fronte per combattere una guerra di cui non capiva bene le ragioni, una volta imprigionato ha vissuto un supplizio senza fine fatto di torture di ogni genere ed in quel luogo tetro, sporco e violento ha trovato il conforto di Dio.

Il racconto del soldato ci parla di giornate scandite dalla frusta e dalle strumentazioni del boia a cui si alternavano notti di spaventosi silenzi rotte solamente dalle urla di sofferenza di chi, come lui, si trovava costretto a vivere un inferno in terra. Se il fisico era distrutto ed asservito alla violenza, lo spirito, se ben ridotto al lumicino, indomitamente cercava un appiglio per uscire quanto meno dalla prigionia psicologica, così, un giorno, le sue labbra hanno cominciato a sussurrare un Ave Maria donando alla sua mente un minimo di conforto.

Dopo quella notte le parole delle preghiere, prima recitate come un mantra prive di qualsiasi significato, divennero strumento efficace di resistenza contro l’ingiustizia perpetrata nei suoi confronti, presto all’Ave Maria si aggiunsero il Padre Nostro ed il Gloria seguiti da attimi di contemplazione del bello e del gioioso che Dio aveva portato in quella cella, presto al buio ed allo sporco che caratterizzavano quel luogo di reclusione si aggiunse la certezza che il Signore era li dentro a lenire i suoi dolori.

Il rosario divenne un modo per astrarsi dal momento di sofferenza ed avvicinarsi alla pace eterna di Dio, le preghiere erano lo strumento per lasciarsi abbracciare da Cristo, superare l’angoscia e puntare ad un futuro fatto di pace e amore. Ad un tratto divennero chiare le parole di un poeta di cui non ricordava il nome ma di cui condivideva ormai il modo di pensare:

“La parole [del rosario] sono come gli argini di un fiume, e la preghiera è come il fiume stesso. Gli argini sono necessari per dare una direzione e per far continuare a scorrere il fiume, ma è il fiume che ci interessa. Allo stesso modo, nella preghiera conta solo l’inclinazione del cuore verso Dio… Mentre il fiume sfocia nel mare, gli argini sfumano. Similmente, mentre ci avviciniamo al senso più profondo della presenza divina, le parole sfumano e… rimaniamo in silenzio nell’oceano dell’amore di Dio”.

Anni dopo la prigionia, il ragazzo, divenuto uomo, ricorda come il suo avvicinamento alla fede Cattolica fosse inizialmente solo formale, di come credeva che le preghiere fossero un ammirevole gesto di devozione e nient’altro, ma un’esperienza così dura gli ha dimostrato che Dio può essere davvero presente in ogni luogo e che le preghiere possono salvarci da un baratro di violenza e non senso.

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