Sapevate che l’Evangelista Luca riposa a Padova.

 

Nella Basilica di Santa Giustina è conservato lo scheletro dell’autore del terzo Vangelo e degli Atti degli apostoli. Il cranio, invece, fu prelevato da Carlo IV e portato a Praga, dove è ancora oggi. Nuovi studi scientifici hanno confermato l’antica tradizione

 

Luca, l’autore del terzo Vangelo, il cronista degli Atti degli apostoli, abita qui, a Padova. Da oltre un millennio in Santa Giustina, Basilica del monastero benedettino di Padova, sono custoditi i resti del suo corpo. Ne segnala la presenza un’antica tradizione attestata da documenti storici. Le reliquie sono custodite nel transetto sinistro della Basilica in un’arca marmorea costruita nel 1313. Anche se la memoria della presenza del suo corpo in questa chiesa è andata perdendosi nel tempo, quello che la tradizione antica ha tramandato sembra ora ricevere una conferma scientifica.
Il 17 settembre scorso per la prima volta, dopo quasi cinque secoli, l’arca contenente le reliquie è stata aperta per avviare una ricognizione scientifica. L’importante decisione è stata presa dal vescovo di Padova, Antonio Mattiazzo, il quale ha nominato una commissione composta da quattordici esperti per analizzare in modo completo le reliquie, gli oggetti e i documenti che le accompagnano. Sono dunque le autentiche spoglie dell’evangelista Luca quelle che si trovano a Padova? I primi risultati sono sorprendenti.
Le analisi, condotte dalla commissione presieduta dall’anatomopatologo padovano Vito Terribile Wiel Marin, hanno rilevato la buona conservazione di uno scheletro quasi completo, appartenente ad un uomo di circa duemila anni fa, morto in età avanzata. E non solo. La novità più importante riguarda il cranio, che, come attestano i documenti, nel 1354 era stato prelevato dall’urna e portato da Carlo IV a Praga. Il cranio, riportato a Padova e sottoposto ad attenti esami, appartiene inconfutabilmente alle spoglie rinvenute nella ricognizione in quanto si articola perfettamente con la prima vertebra cervicale di questo scheletro. Gli esperti hanno inoltre avallato anche l’ipotesi che l’antichissima cassa di piombo rinvenuta nell’arca marmorea e contenente i resti sia la stessa nella quale venne deposta originariamente la salma. Le ricerche sono solo agli inizi.
Questi sono solo alcuni dei risultati raggiunti in due mesi di studi e osservazioni; ma se le indagini interdisciplinari, che si protrarranno per altri due anni, confermeranno l’ipotesi che lo scheletro conservato a Padova è effettivamente dell’evangelista Luca, si tratterà di una scoperta davvero straordinaria: quello di san Luca sarà l’unico corpo dei quattro evangelisti conservato integro.

Salvato dagli iconoclasti
Le ricerche storiche hanno tuttavia già permesso una prima ricostruzione di come le reliquie attribuite a san Luca siano giunte in Italia proprio a Padova.
È noto, dal cosiddetto Prologo antimarcionita, un testo risalente alla fine del II secolo, che Luca morì in tarda età in Beozia e che la sua tomba vuota, un sarcofago marmoreo dei primi secoli del cristianesimo, era venerata a Tebe, capitale della Beozia in Grecia. Da questo luogo, come attesta una tradizione confermata dalla testimonianza di san Girolamo, l’urna, contenente le sue reliquie, fu traslata, all’epoca dell’imperatore Costanzo (IV secolo), a Costantinopoli e posta nella Basilica che sarà poi chiamata dei Santi Apostoli, per la presenza in essa anche delle spoglie dell’apostolo Andrea e di Mattia, il “tredicesimo” degli apostoli. Da Costantinopoli, secondo un’antica tradizione, venne poi portata a Padova.
Gli storici tuttavia divergono su come e quando le reliquie dell’evangelista Luca giunsero a Padova. Alcuni sostengono che le spoglie arrivarono dall’Oriente dopo il sacco di Costantinopoli del 1204, portate dai crociati. Tuttavia le recenti indagini avallano un’altra ipotesi. Claudio Bellinati, direttore dell’Archivio storico di Padova e membro della commissione scientifica incaricata della ricognizione, spiega che la presenza delle reliquie di san Luca nell’abbazia benedettina è registrata già nell’anno 1177, quando, come attestano i documenti, la cassa di piombo contenente le reliquie di san Luca venne rinvenuta nel cimitero di Santa Giustina (dove furono nascosti durante le incursioni barbariche tutti i corpi che si conservavano nella Basilica) e trasportata all’interno della chiesa. Dunque i resti dell’evangelista erano già presenti a Padova prima della conquista di Costantinopoli e forse prima ancora del 1177, anno del loro rinvenimento nel cimitero attiguo alla chiesa. «Ritengo molto probabile» afferma Bellinati «che le reliquie di Luca siano venute a noi nell’VIII secolo, durante il periodo delle lotte iconoclaste (741-770). La tradizione infatti ci informa che un sacerdote di nome Urio, custode della Basilica dei Santi Apostoli a Costantinopoli, volle salvare dalla furia degli iconoclasti le preziose reliquie che si conservavano nella Basilica e portò con sé a Padova sia i resti di san Luca che i resti di san Mattia, insieme ad una immagine lignea della Madonna, detta Madonna costantinopolitana (tuttora presenti nella Basilica di Santa Giustina). Dovrebbero pertanto essere esaminate anche le reliquie di Mattia e l’immagine lignea» aggiunge Bellinati «per verificare quanto ci tramanda la tradizione». Tuttavia non è ancora chiaro perché queste reliquie furono portate proprio a Padova e non, ad esempio, a Venezia.

L’imperatore Carlo IV
Quello che invece è indiscutibilmente certo è che il 9 novembre 1354 l’arca marmorea contenente le reliquie di san Luca, fatta costruire nel 1313 dall’abate Gualpierino Mussato, venne aperta per prelevare il capo. L’imperatore Carlo IV, infatti, volle portare con sé a Praga questa preziosa reliquia di san Luca e in questa occasione venne perciò operata una vera ricognizione dei resti contenuti nel sepolcro. È la prima identificazione documentata di cui si ha notizia. «Ma non è detto» spiega ancora Bellinati «che questa sia stata la prima ricognizione. Sicuramente ce sono state delle altre precedenti. È probabile, ad esempio, che ce ne sia stata una proprio nel periodo delle lotte iconoclaste, prima che la cassa di piombo venisse portata a Padova, per accertarsi del contenuto. Nella cassa poi, durante la nostra ricognizione, sono state rinvenute anche delle monete, alcune delle quali antichissime, una risalente addirittura all’anno 299 d.C., epoca dell’imperatore Massimiano. Dunque altre volte la cassa dovrebbe essere stata aperta».
Una seconda ricognizione documentata fu fatta nel 1463 a causa di un processo (i cui atti sono contenuti nel quinto volume dell’Archivio Sartori, una trascrizione dei documenti esistenti nell’Archivio di Stato di Padova) per stabilire se il vero san Luca fosse quello sepolto a Santa Giustina a Padova o un omonimo, la cui tomba era venerata a Venezia. Nel processo, dopo lunghe e faticose sedute, con ampia documentazione e molte testimonianze, si veniva a concludere che il vero san Luca era a Padova, in quanto venne verificato che lo scheletro del Luca veneziano apparteneva ad un giovane di vent’anni, morto da appena due secoli.
L’ultima apertura prima di quella attuale, avvenne nel 1562, data che si desume dalle pergamene ritrovate nella cassa di piombo. Nel 1562 l’identificazione venne operata in occasione della traslazione delle spoglie di san Luca dall’antica cappella omonima al nuovo transetto sinistro della Basilica, dove oggi si trova. La cassa di piombo probabilmente venne aperta per esporre le sacre reliquie alla venerazione dei fedeli, cosa che può essere accaduta anche nelle precedenti aperture. Si sa inoltre che nell’antica cappella di provenienza, la lastra tombale in marmo serviva da mensa d’altare e che la cappella era stata abbellita dal celebre polittico di Andrea Mantegna e da affreschi con scene che rievocavano il tradizionale racconto dell’arrivo del corpo di san Luca a Santa Giustina.
Ora l’insieme di tutti questi dati forniti dai documenti e dalla tradizione saranno riconsiderati, chiariti e approfonditi alla luce delle prove e degli indizi scientifici delle nuove indagini interdisciplinari. «Con il contributo dei moderni strumenti scientifici» afferma Claudio Bellinati «sapremo finalmente stabilire l’autenticità delle reliquie di san Luca e sapremo storicamente ricostruire quanto un’antichissima tradizione ci ha indicato».

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