La sindonologa Emanuela Marinelli racconta la miriade di evidenze scientifiche che testimoniano l’autenticità e il mistero divino della Sindone. I risultati che ha ottenuto sono a dir poco sconvolgenti.
Dopo un primo incontro sospettoso, infatti, da giovane la scienziata ha cominciato a incuriosirsi a quella che è senza dubbio una delle reliquie più importanti della cristianità. Giorno dopo giorno, le scoperte che sono emerse hanno letteralmente stravolto la sua vita.
“Era alto 1 metro e 75, aveva il corpo atletico e il tono muscolare di una persona abituata a fare lavori di fatica, ma nei fatti aveva un aspetto fisico come tanti uomini del suo tempo, se è vero che Giuda per farlo riconoscere da chi voleva catturarlo nella notte ha dovuto baciarlo”, è quando ha affermato la studiosa al quotidiano Avvenire.
La Sindone che ha toccato il cuore della studiosa
La studiosa infatti, che da anni gira il mondo per parlare della Sindone, parlando dell’aspetto fisico di Gesù che emerge dal telo sindonico ha spiegato che l’uomo impresso su quel telo era un uomo fra i trenta e quarant’anni. Insomma, per la studiosa “non ci sono dubbi, è proprio il Gesù dei Vangeli, il Verbo che si è fatto carne, crocifisso sul Calvario, deposto nel sepolcro e risorto all’alba del terzo giorno. E quel volto ci interroga. Ci guarda e ci interroga.
Il suo incontro con la Sindone avvenne a soli 24 anni a Roma, in via della Conciliazione, a due passi da San Pietro. Vide l’immagine in una libreria. “Ne restai colpita e chiesi alla suora al banco chi fosse l’artista“, racconta.
Tutto comincia a mutare con la visione di un semplice documentario
“Mi spiegarono che Sindone, dal greco “ sindon” che significa lenzuolo, era il telo in cui era stato avvolto Gesù e che era conservato a Torino. Quasi mi misi a ridere. Come poteva dopo 2000 anni? La suora mi diede un santino e mentre uscivo pensavo: “Se le suore credono a queste stupidaggini come ci si può meravigliare se la gente non va in chiesa?”.
Poi però vide anni dopo un “un documentario in cui il botanico e criminologo Max Frei Sulzer, fondatore del laboratorio scientifico della polizia di Zurigo, calvinista zwingliano, annunciava i risultati di un suo studio su un campione di polvere prelevato dalla Sindone. Aveva trovato pollini di piante dell’Oriente mediterraneo, in particolare di Zigophillum Dumosum il cui areale esclusivo è compreso fra Sinai, Giordania e Israele”.
Il dettaglio che ha stravolto la percezione che la donna aveva prima
“Dai miei studi sapevo quanto fossero importanti i pollini per stabilire la provenienza dei reperti“, spiega la donna ad Avvenire. Fu proprio “da quel momento le cose cambiano”. Cominciano infatti per lei ricerche e giri per tutta Italia, tra mostre, incontri, studi, fino all’ostensione vera e propria della Sindone a Torino.
“Insomma, c’erano così tanti argomenti ed evidenze scientifiche sull’autenticità della Sindone che non potevo più dubitare“. Il volto così ha cominciato a interrogare la studiosa, come interroga ogni giorno oltre un miliardo di cristiani in tutto il Pianeta, ma soprattutto dona loro la sua presenza, concreta e tangibile.
“Quando ho saputo non ho potuto più tacere: è questa la mia missione”
“Quando ho saputo non ho potuto più tacere. È questa la mia missione. Per me è evidente che la Sindone è come un Vangelo scientifico – monsignor Ricci diceva che è il Quinto – capace di parlare contemporaneamente ai semplici, agli scienziati, agli artisti, agli storici“. Sono infatti tanti gli atei e gli scienziati che davanti alla Sindone hanno letteralmente rivoluzionato le proprie false convinzioni.
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“Ho visto scienziati cambiare idea di fronte alla Sindone e se tanta gente non crede è perché non sa: è stata ingannata dalla rilevanza data ai risultati del C14 e dall’interesse marginale dei media alle migliaia di dati che li smentiscono e testimoniano l’autenticità della Sindone. Anche la storia dell’arte ci dice che parlare di falso medievale è assurdo perché le icone di Cristo si rifanno al volto sindonico almeno dal quarto secolo”.
Un volto che non ci parla solo di scienza ma anche dell’amore di Dio
Insomma, sull’autenticità per l’esperta non ci sono dubbi. Ma la verità è che il messaggio che emerge da quel velo non è solo di tipo “scientifico”, ma ci parla del mistero divino incarnato in Gesù Cristo, il salvatore dell’umanità. “Quel volto parla alla testa e al cuore“, ha affermato infatti in conclusione la studiosa.
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“Una sorta di autoscatto, un selfie in cui si mostra così come era 2000 anni fa. Ecco, io penso che abbiamo la stessa fortuna dei discepoli che potevano guardarlo in viso: dalla terra prelevata dal telo all’altezza dei piedi, sappiamo che quell’uomo calpestava con loro, lo stesso suolo di Palestina. E credo che chi vede Lui, veda il Padre“.