Il racconto di una radical chic pentita. Ecco la sua nuova vita

L’universo radical chic è quanto di più distante dalla religione cattolica si possa immaginare. Eppure, anche questo mondo, a modo suo è una religione, con le sue liturgie, il suo clero e i suoi riti penitenziali.

Il primo a mettere a nudo questo mondo, nonché a coniare lo stesso termine radical chic, fu Tom Wolfe, nei primi anni ’70. Oggi è il turno di una giovane scrittrice italiana.

La droga dell’approvazione dell’altro

Confessioni di una radical chic pentita (Berica editrice) è il libro d’esordio di Serena Di, per oltre un decennio frequentatrice assidua di salotti, terrazze, loft e aperitivi in almeno tre grandi città italiane. Tre anni dopo aver abbandonato quel mondo, l’autrice si guarda alle spalle con benevola ironia ma anche con forte spirito critico. Ne è venuta fuori un’autobiografia atipica, ricca di digressioni, carica di disarmante humour e di puntute analisi psico-sociologiche.

I Radical Chic – scrive Serena – sono quelli che vogliono essere divertenti alle feste, quelli che per offendere usano l’aggettivo ‘medioevale’ a sproposito, quelli che si schierano sempre dalla parte dell’ultimo che ha parlato, soprattutto se ha più follower, quelli che rifiutano i dogmatismi, eppure ne sono ingabbiati”. Queste ultime non sono categorie astratte ma esperienze di vita dell’autrice, che con lucida sincerità si ritrova ad ammettere le ragioni che l’hanno spinta ad avvicinarsi ai luccichii ingannevoli del ‘radicalchicchismo’.

Può capitare allora, come è successo a Serena Di, di aver avuto alle medie una prof post-sessantottina, che ti rimprovera perché ti fai vedere in giro con una coroncina del rosario proveniente direttamente da Lourdes. Nella sua gioventù di ragazza del Sud, diventata adulta all’inizio di questo secolo, Serena si fa irretire da una serie di mode effimere e di atteggiamenti, scambiati per dei ‘modelli vincenti’, delle autostrade per la realizzazione personale. Intraprendendo, uno dopo l’altro, tutti i riti di iniziazione alla “chiesa radical chic”, diventa, quasi senza accorgersene, dipendente da una droga molto subdola: l’approvazione degli altri. Nei circoli radical chic, infatti, non sei accettato per quello che realmente sei ma per quello che puoi diventare, se sei disposto ad omologarti a un certo stile di vita.

Precari e (s)contenti…

Serena Di trascorre gli anni universitari e post-universitari tra Napoli, Roma e Milano, facendo la spola tra redazioni di riviste culturali e i party eleganti a casa dell’editore di turno. Luoghi in cui non sei ammesso, se non sei in grado di discettare brillantemente sull’ultimo film o romanzo di nicchia o se non ti entusiasmi cucina vegana. In tal caso, potrà capitarti, in una di quelle lussuose terrazze, di assaggiare un’indigesta brodaglia ricavata da scatolame del discount e spacciata per una prelibatezza etnica: e tutti, per buona educazione, dovranno mostrarle di apprezzarla…

I rappresentanti del microcosmo radical chic frequentato da Serena, infatti, oltre a essere – a modo loro – piuttosto ‘bigotti’, sono anche parecchio tirchi. E quando ti chiedono offerte per una ‘buona causa’, spesso lo fanno per coprire sottobanco le spese di quella cena, in cui far sfoggio di tutto il lusso possibile. Al momento topico delle serate, comunque, un bel coretto di Bella ciao, con tanto di sventolio di fazzoletti, non è mai fuori luogo…

Altro tratto distintivo delle comitive radical chic, poi, è il precariato. I giovani critici letterari e cinematografici peregrinano da una redazione all’altra, con contratti a termine, spesso fino a ritrovarsi a quarant’anni con un pugno di mosche in mano. Il loro precariato non è solo lavorativo ma anche affettivo. Per la ventenne Serena Di, qualunque legame sentimentale, viene visto come un “disastroso ostacolo ad una “sfolgorante carriera”. “Matrimonio”, “figli” e “San Valentino” sono “tutte sciocchezze, fantasticherie, per povere donnette destinate alla sottomissione e alla clausura nel focolare del paesello”.

Quando meno te lo aspetti…

Spesso, però, nella vita, i cambiamenti avvengono in modo repentino e inaspettato. E così, un giorno, a Serena capita di incontrare un ragazzo ‘all’antica’, che la corteggia con un mazzo di rose bianche, mostrando al polso – sorpresa delle sorprese… – “non un bracciale di Gucci ma un rosario”. È sempre l’amore che cambia ogni cosa e anche l’amore di Dio, in genere, cammina sulle gambe di persone speciali.

Normalmente sono gli uomini a convertirsi, conquistati dalla fede della donna amata. Qualche volta, però, accade pure il contrario. Serena rimane subito conquistata da quel giovane americano, che si trovava occasionalmente in Italia per un cammino di fede appena intrapreso. Dopo qualche resistenza iniziale, anche lei torna sui passi abbandonati tantissimo tempo prima. “Dio era da tempo in stand-by nella mia vita, ed erano circa vent’anni che l’unico confessionale che conoscevo era quello del Grande Fratello”.

E intanto, nel modo più inatteso e impensabile, quella prima confessione dopo tempo immemore è arrivata. “Adesso – ricorda l’autrice – percepivo il baccano, lo sforzo, gli spasmi degli ingranaggi arrugginiti che ripartivano dopo vent’anni e, nello stesso tempo, un abbraccio di misericordia, una consolazione, una speranza mai provate, la certezza di non essere sola a vagare nel mondo, ma custodita da una forza superiore, da un amore che «move il sole e l’altre stelle»”

Oggi, Serena Di vive tra le due sponde dell’Atlantico con il marito e la figlioletta di due anni. La vita da mamma e da moglie le piace molto più di quella precedente. Ai vecchi amici radical chic ogni tanto ripensa ancora, con affetto. Qualcuno lo sente ancora. Ma senza alcun rimpianto per quella vita.

Luca Marcolivio

 

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