Si dice che l’immagine miracolosa scruti l’anima, perché dipinta dagli Angeli. Ad essa sono legate grandi e innumerevoli grazie.
Nel 1417, a Viterbo, un fabbro fece dipingere su di una tegola di coccio l’immagine di una Madonna con il Bambino Gesù, con una rondine in mano.
Vuole la tradizione che mentre l’artista Monetto stava lavorando al quadro, quando giunse a dipingere il volto della Vergine, sia caduto in un sonno profondo. In sogno vide alcuni angeli che completavano il quadro, ultimando il viso e gli occhi di Maria. Quando l’uomo si svegliò, la pittura era di fatto terminata in modo prodigioso.
Secondo molti, gli occhi di Maria avrebbero una capacità singolare di toccare l’animo umano, tant’è che chiunque si rechi di fronte a tale immagine viene segnato tanto nella mente quanto nel cuore.
Nella pittura, realizzata a tempera, Maria ha una veste rosseggiante e un manto celeste. Con il braccio destro sorregge il suo abito, mentre con il sinistro tiene il Bambino Gesù, vestito di una piccola tonaca di un colore tra il bianco e il giallo.
Gesù, a sua volta, nella mano destra ha una rondinella, e la sinistra è invece appoggiata sul petto della Madre, a cui si rivolge con uno sguardo pieno di amore e tenerezza.
La tegola venne inchiodata tra i rami di una quercia. Tuttavia, nonostante l’esposizione alle intemperie, rimase nascosta tra i rami per circa mezzo secolo. Fino a che non ci si accorse di questa meraviglia.
Nella quercia, col passare degli anni, si era creato una specie di tabernacolo in cui l’immagine rimase conservata, grazie anche alla vite selvatica che si era sviluppata intorno, e forse anche alla collaborazione di qualche passante.
Circa mezzo secolo dopo passò di lì un eremita, il senese Pier Domenico Alberti, che dormiva in una grotta. Vedendo l’immagine, la volle portare con sé per abbellire la sua cappellina.
Durante la notte, però, alcuni angeli riportarono la tegola sopra la quercia da dove l’uomo l’aveva strappata. In seguito a quell’evento l’uomo divenne il primo predicatore della devozione alla Madonna della Quercia, girando tra i territori intorno a Viterbo e spiegando a tutti che in quelle boscaglie c’era un tesoro inestimabile.
Molti cominciarono così a perlustrare e scavare in quei luoghi, senza trovare nulla. Un giorno l’emerita disse che si trattava dell’immagine della Vergine appesa alla quercia. Nacque così una forte devozione verso quell’umile immagine dipinta sulla tegola.
Un giorno passò in quella zona anche un cavaliere, che era assalito da alcuni nemici che lo stavano combattendo. Il cavaliere, disarmato, scappò per giungere fino ai piedi dell’immagine miracolosa, dove cominciò a invocare la Madonna.
La Vergine lo graziò, rendendolo nientemeno che invisibile ai suoi persecutori. Anni dopo, durante una forte pestilenza, il popolo viterbese si rivolse alla Madonna per chiedere la sua intercessione e per invocare la fine dell’epidemia: la Madonna della Quercia fece loro subito questa grazia.
Maria accompagnò i cristiani anche durante la battaglia di Lepanto, alla fine della quale i combattenti donarono due bandiere turche come ex voto.
In questo modo ebbe inizio una delle devozioni popolari tra le più importanti di tutta Italia e anche di tutta Europa.
Santissima Vergine Maria,
Madre di Dio e Madre nostra,
che da questa miracolosa immagine posta su una quercia
ti mostrasti sempre tenera e misericordiosa verso i tuoi figli,
fiduciosi noi ricorriamo a te ed alla tua protezione.
Col tuo sorriso amorevole consolasti gli afflitti,
risanasti gli infermi, convertisti i peccatori,
dispensasti innumerevoli grazie […]
Accoglici sotto il tuo manto celeste,
liberaci da ogni male dell’anima e del corpo,
ottienici la salvezza, il perdono dei peccati e la gioia di una vita buona,
spesa, come la Tua, solo per amore.
In questo tempo così difficile per l’intera umanità,
Madre dolcissima non ci negare questo dono di salvezza:
Gesù mio misericordia,
Madonna della Quercia salvaci.
Ave Maria…
Elisa Pallotta
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