
Il Vescovo Vitus Huonder di Chur, del Cantone dei Grigioni, in Svizzera, fu accusato, qualche tempo fa, di omofobia, da un gruppo di attivisti omosessuali, chiamato Pink Cross.
Il Vescovo era colpevole -ai loro occhi- di aver espresso quanto dice la Bibbia, in merito all’argomento, durante una Conferenza a Fulda, in Germania, dal titolo “La gioia nella fede”, che voleva ribadire “la retta Dottrina della Chiesa in fatto di morale sessuale”.
Monsignor Vitus Huonder, alla luce della Parola di Dio, aveva semplicemente spiegato i presupposti cristiani sul matrimonio e sulla famiglia.
La Sacra Scrittura pone in peccato gli omosessuali, poiché sono “un attacco al Creatore, ma anche al Redentore ed al Santificatore, vale a dire alla Santissima Trinità”, aveva detto.
In quell’occasione, il Presidente della Conferenza Episcopale svizzera, Monsignor Markus Büchel, non fu affatto solidale con il “suo collega”, dando modo di far crescere e diventare più aspre le polemiche, permettendo, così, che Monsignor Vitus Huonder rischiasse fino a tre anni di carcere, per le sue legittime e cristiane affermazioni.
Un caso analogo, ma con un epilogo decisamente diverso, ma anch’esso contrario alla fede in Dio, si verificò, nello stesso periodo, a causa del Vescovo Rafael Zornoza Boy di Cadice e Ceuta, in Spagna, in quale ammise un transgender, Alexander Salinas, come padrino di Battesimo di suo nipote, figlio della sorella, bypassando spudoratamente le disposizioni della Chiesa, in merito.
Anche i media condannarono la decisione di Monsignor Rafael Zornoza Boy, ma lui volle compiacere le lobby Lgbt e dar loro nuovo vigore, dicendo che il transgender in questione “non vivrebbe in maniera scandalosa la sua condizione, quindi non sussisterebbe alcuna ragione canonica per dir di no”.
Quanto sono radicate, anche nella Chiesa, le pressioni delle Lgbt e quali conseguenze avranno sul futuro della nostra professione di fede, dunque?
Antonella Sanicanti