Perché la personalità di Ponzio Pilato è definita complessa?

La Settimana Santa ci riporta nel vivo della Passione, Morte e Resurrezione di Gesù. Tre giorni in cui il Sacro e l’Eterno si incrociano con numerose vicende umane, di cui si sa ancora molto poco.

Ponzio Pilato, ad esempio, è un personaggio da duemila anni in bilico tra storia e leggenda. Al governatore della Giudea ai tempi di Gesù è dedicato il saggio Pilato. Indagine sull’uomo che uccise Gesù (Edizioni Terra Santa, 2021), di Massimo Centini.

Illustre “perdente”

In circa trecento pagine, Centini, professore di antropologia culturale all’Università Popolare di Torino, ha condotto un’indagine molto approfondita ed accurata dal taglio “giornalistico” e divulgativo.

Su Ponzio Pilato, spiega l’autore, le informazioni che arrivano ai giorni nostri sono poche e frammentarie. Il saggio attinge quindi a tre tipologie di fonti: quelle storiche in senso stretto; quelle archeologiche; quelle apocrife e leggendarie.

Il denominatore comune di tutte le narrazioni su Pilato sono quelle di un “perdente”, probabilmente perché la storia la scrivono i vincitori. Da questo punto di vista, non c’è alcun dubbio che la cultura cristiana sia stata vincente, quantomeno nei suoi primi quindici-sedici secoli di storia. Ciononostante, anche tra gli autori cristiani, il quadro si presenta ben più problematico di quanto si creda.

Un dato su cui gli studiosi si ritrovano pressoché unanimi è l’ambiguità e l’ambivalenza del personaggio. Pilato era sicuramente un antisemita, come del resto quasi tutti i romani del suo tempo. Era anche un uomo – per usare un’espressione oggi in voga – piuttosto “attaccato alla poltrona”, che, per quieto vivere, tendeva a scegliere il compromesso, come del resto emerge in tutti e quattro i vangeli.

Ambiguità di un’Amleto ante-litteram

Ciò non toglie che Pilato seppe essere particolarmente spietato in tante occasioni, forte con i deboli e debole con i forti. Viveva infatti nella costante paura di inimicarsi l’imperatore Tiberio. C’è chi ritiene che il personaggio spregiativamente collocato da Dante tra gli ignavi dell’anti-inferno (“colui che per viltade fece il gran rifiuto”, Inf. III,60) sia proprio Ponzio Pilato.

Il governatore della Giudea non fu immune da iniziative spregiudicate, come il progetto della costruzione di un acquedotto, attingendo alle casse del tempio di Gerusalemme. Un’operazione grandemente sacrilega riportata in modo finanche troppo enfatico da un illustre cronista del tempo, come Giuseppe Flavio.

Dove però la complessità psicologica del personaggio – quasi un Amleto ante litteram – emerge in tutta la sua forza è proprio nella condanna di Gesù. Pilato si ritrova in mano una ‘patata bollente’, anche dal punto di vista della situazione politica contingente. Tenta almeno due volte, di scaricare ogni responsabilità su Erode ma, alla fine, è costretto a decidere lui. E, come sempre, Pilato opta per il compromesso.

Dal Vangelo di Luca, emerge che il governatore non crede nella colpevolezza di Gesù: «Perciò – afferma – dopo averlo severamente castigato lo rilascerò» (Lc 23,14-16). Lo condanna, quindi, alla pena della flagellazione ma non vuole dargli la morte.

Affidandosi alla folla nel “referendum” tra Gesù e Barabba, Pilato compie però un errore marchiano. Essendo Barabba uno zelota, quindi un paladino della libertà dei Giudei contro l’invasore romano, era scontato che il popolo avrebbe salvato un suo difensore. Pilato, allora, si è scaricato della sua responsabilità ma solo formalmente.

Clamorosa conversione?

Non mancano, però, una serie di indizi, che lasciano pensare a un ravvedimento, forse addirittura a una conversione dello stesso Pilato. Quando concede a Giuseppe di Arimatea di prendersi il corpo di Gesù per la sepoltura, Pilato compie un gesto non scontato, quasi coraggioso. Era infatti prescritto dalla normativa romana che i crocefissi fossero esposti a una lunga agonia, quindi esposti alle fiere e, infine, destinati alla fossa comune.

C’è addirittura una vulgata della “santificazione” di Pilato. Tertulliano lo definisce “già in sua coscienza cristiano”, mentre la tradizione copta lo venera come “beato”. In una delle varie leggende apocrife, Pilato viene persino fatto decapitare da Tiberio: un angelo, poi, consegna a Claudia Procula la testa del marito, dopodiché la donna muore dal dolore e viene sepolta assieme a lui.

Ponzio Pilato è stato protagonista di varie opere letterarie e anche cinematografiche. Tra le più emblematiche, Centini menziona Il procuratore della Giudea (1892) di Anatole France, in cui si narra di un uomo che, molti anni dopo la crocefissione di Cristo, chiede conto di quell’episodio a Pilato, il quale risponde: “Gesù? Gesù il Nazareno? No, non ricordo”. Nel suo film L’inchiesta Damiano Damiani ricostruisce l’indagine di un funzionario romano inviato da Tiberio a Gerusalemme per fare luce sulla scomparsa del corpo di Cristo.

Una sezione più breve – ma non per questo secondaria – del libro è dedicata ai reperti archeologici legati in qualche modo a Ponzio Pilato. Si parla, ad esempio, del flagellum utilizzato per percuotere Gesù e di una rilevante iscrizione scoperta nel 1961 a Cesarea Marittima, residenza abituale del governatore. Su un blocco calcareo delle dimensioni di 20x60x82 centimetri, rivenuto tra gli scavi di un antico teatro romano, appare una scritta incisa usurata dal tempo, in cui, però si distinguono chiaramente le parole “TIBERIEUM” e “PONTIUS PILATUS PRAEFECTUS IUDAEAE”.

Luca Marcolivio

 

 

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