Perché la Chiesa è definita “cattolica”? Il Papa lo spiega

Una comunità piccola ma inclusiva ha accolto oggi il Pontefice a Manama. Un incontro nel segno di una fede ispirata dal cristianesimo delle origini e irrorata del dono dello Spirito Santo.

La visita pastorale di papa Francesco in Bahrein si conclude con l’incontro di preghiera con i vescovi, i sacerdoti, i consacrati, i seminaristi e gli operatori pastorali del Vicariato dell’Araba del Nord.

Perché la Chiesa è definita “cattolica”? Il Papa lo spiega
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Un “piccolo gregge”

Presso la chiesa del Sacro Cuore a Manama, il Pontefice è stato accolto dall’omaggio floreale di tre bambini e dal saluto del vicario apostolico dell’Arabia del Nord, monsignor Paul Hinder. Dopo la testimonianza di un operatore pastorale e di una suora, il Papa ha tenuto il suo ultimo discorso in Bahrein, seguito dalla recita dell’Angelus.

La piccola comunità cristiana giunta a incontrarlo a Manama è il segno del volto “cattolico”, in quanto “universale” della Chiesa. Richiamandosi alle parole di monsignor Hinder, il Santo Padre ha descritto la comunità come un “piccolo gregge composto da migranti”.

Si tratta, infatti, di cristiani e cattolici giunti da varie parti del mondo e, in particolare, dal Medio Oriente: tra questi un gruppo di “fedeli del Libano”, cui il Pontefice ha affidato la propria “preghiera e vicinanza a quell’amato Paese, così stanco, così provato, e a tutti i popoli che soffrono in Medio Oriente”.

Meditando il Vangelo ascoltato poco prima (cfr Gv 7,37-39), che parla dell’“acqua viva che sgorga dal Cristo e dai credenti”, il Papa ha osservato come nella penisola arabica, vi sia effettivamente “tanto deserto, ma ci sono anche sorgenti di acqua dolce che scorrono silenziosamente nel sottosuolo, irrigandolo”.

Questa “acqua dolce dello Spirito”, alla fine, “irriga i nostri deserti, ridona vigore a quanto rischia di seccare, lava ciò che ci abbruttisce, disseta la nostra sete di felicità”. Un’acqua che ristora un’umanità “inaridita da tante fragilità, paure, sfide che deve affrontare, mali personali e sociali di vario genere”.

La Chiesa nasce, dunque, “dal costato aperto di Cristo uscirà l’acqua della vita nuova, l’acqua vivificante dello Spirito Santo, destinata a rigenerare tutta l’umanità liberandola dal peccato e dalla morte”.

Lo Spirito inaugura “l’unico linguaggio dell’amore”

A voi, che avete scoperto questa gioia e la vivete in comunità, vorrei dire: conservatela, anzi, moltiplicatela”, ha detto Francesco rivolto ai fedeli della comunità di Manama. La gioia cristiana, ha sottolineato, si moltiplica “quando è condivisa” e non ci si limita a “ripetere gesti per abitudine, senza entusiasmo, senza creatività.

Inoltre, ha ribadito il Santo Padre, “non può esserci spazio per le opere della carne, cioè dell’egoismo: per le divisioni, le liti, le maldicenze, le chiacchiere”: tutte cose che “distruggono una comunità”.

Le divisioni del mondo – ha proseguito – e anche le differenze etniche, culturali e rituali, non possono ferire o compromettere l’unità dello Spirito”, il quale “inaugura l’unico linguaggio dell’amore”, abbattendo “le barriere della diffidenza e dell’odio, per creare spazi di accoglienza e di dialogo”.

Il Pontefice si è riagganciato alla testimonianza di Chris che, parlando poco prima di lui, aveva raccontato di quando, da giovane, “ciò che l’aveva affascinata della Chiesa cattolica era «la comune devozione di tutti i fedeli», indipendentemente dal colore della pelle, dalla provenienza geografica, dalla lingua”.

È quindi opportuno, valorizzare “i carismi di tutti senza mortificare nessuno”, nelle “famiglie” e nelle “case religiose”, così come “nella società multireligiosa e multiculturale in cui viviamo: sempre a favore del dialogo, sempre, tessitori di comunione con i fratelli di altri credo e di altre confessioni”.

Da questa prospettiva, il Papa ha elogiato la comunità cristiana del Bahrein, “voi offrite già un bell’esempio, ma la fraternità e la comunione sono doni che non dobbiamo stancarci di chiedere allo Spirito, per respingere le tentazioni del nemico, che sempre semina zizzania”.

Cosa genera il dono della profezia?

Francesco ha quindi evocato i profeti e la “luce interiore” che essi ricevono dallo Spirito Santo: le loro parole sono “sferzanti”, in quanto “chiamano per nome i progetti di male che si annidano nei cuori della gente, mettono in crisi le false sicurezze umane e religiose, invitano alla conversione”.

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Qualunque battezzato riceve lo Spirito e, con esso, la “vocazione profetica”: proprio per questo “non possiamo far finta di non vedere le opere del male, restare nel “quieto vivere” per non sporcarci le mani”.

La profezia ci rende capaci di praticare le beatitudini evangeliche nelle situazioni di ogni giorno, cioè di edificare con ferma mitezza quel Regno di Dio nel quale l’amore, la giustizia e la pace si oppongono a ogni forma di egoismo, di violenza e di degrado”.

A riguardo, il Santo Padre ha menzionato la testimonianza di suor Rose sul suo ministero tra le detenute nelle carceri. Laddove “ci sono fratelli bisognosi, come i carcerati, c’è Gesù, Gesù ferito in ogni persona che soffre (cfr Mt 25,40)”. E ha commentato, come già capitato altre volte: “Sai cosa penso io, quando entro in un carcere? “Perché loro e non io?. È la misericordia di Dio”.

In conclusione, un nuovo appello a pregare per la pace in tutto il mondo, in particolare “per la martoriata Ucraina”, mentre “costituisce una speranza l’accordo che è stato firmato e che riguarda la situazione in Etiopia”.

Al momento del congedo, il Pontefice ha ringraziato “Sua Maestà il Re e le Autorità di questo Paese – anche il Ministro della Giustizia, qui presente – per la squisita ospitalità”, invocando infine “l’intercessione materna della Vergine Maria, che sono felice di venerare come Nostra Signora d’Arabia. Ella ci aiuti a lasciarci sempre guidare dallo Spirito Santo e ci mantenga gioiosi, uniti nell’affetto e nella preghiera”.

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