Per la prima volta papa Prevost ha celebrato la solennità dei Santi Pietro e Paolo, lanciando un messaggio di grande attualità.
Due “fratelli nella fede” riconosciuti poi come “pilastri della Chiesa” e oggi venerato come “patroni della diocesi e della città di Roma“. Con queste parole papa Leone XIV ha introdotto le figure dei Santi Pietro e Paolo, nel corso della messa nella basilica di San Pietro.
Durante l’omelia, il Pontefice ha individuato due particolari risvolti delle vite dei santi odierni, il primo dei quali è ” la comunione ecclesiale”, che nel caso di Pietro e Paolo si rincontra innanzitutto nel destino del “martirio, che li ha associati definitivamente a Cristo“. Per entrambi, il raggiungimento della “comunione nell’unica confessione della fede non è una conquista pacifica” ma “un traguardo a cui approdano dopo un lungo cammino, nel quale ciascuno ha abbracciato la fede e ha vissuto l’apostolato in modo diverso“.
Il destino comune di Pietro e Paolo non cancella la loro diversità di origini, di formazione, di temperamento e di approccio apostolico. “Simone era un pescatore di Galilea, Saulo invece un rigoroso intellettuale appartenente al partito dei farisei; il primo lascia subito tutto per seguire il Signore; il secondo perseguita i cristiani finché viene trasformato da Cristo Risorto; Pietro predica soprattutto ai Giudei; Paolo è spinto a portare la Buona Notizia alle genti“, ha ricordato il Santo Padre.
Com’è noto, tra Pietro e Paolo “non mancarono conflitti a proposito del rapporto con i pagani“: un tema di cui si sarebbe occupato “il Concilio di Gerusalemme, nel quale i due Apostoli si confronteranno ancora“. Essersi “confrontati e scontrati con franchezza evangelica“, non ha impedito a Pietro e a Paolo di “vivere la concordia apostolorum, cioè una viva comunione nello Spirito, una feconda sintonia nella diversità“.
Il vissuto dei due patroni di Roma, ha osservato il Pontefice, “ci interroga sul cammino della comunione ecclesiale. Essa nasce dall’impulso dello Spirito, unisce le diversità e crea ponti di unità nella varietà dei carismi, dei doni e dei ministeri“, con l’obiettivo di contribuire “all’annuncio del Vangelo“.
Della “fraternità” sussistita tra Pietro e Paolo ha tuttora bisogno “la Chiesa“, così come “ne hanno bisogno “le relazioni tra laici e presbiteri, tra i presbiteri e i Vescovi, tra i Vescovi e il Papa“, senza escludere “la vita pastorale, il dialogo ecumenico e il rapporto di amicizia che la Chiesa desidera intrattenere con il mondo“.
Da qui l’esortazione del Papa: “Impegniamoci a fare delle nostre diversità un laboratorio di unità e di comunione, di fraternità e di riconciliazione perché ciascuno nella Chiesa, con la propria storia personale, impari a camminare insieme agli altri“.
“I santi Pietro e Paolo“, ha aggiunto Leone XIV, facendo riferimento al secondo tratto distintivo dei due patroni di Roma, “ci interpellano anche sulla vitalità della nostra fede. Nell’esperienza del discepolato, infatti, c’è sempre il rischio di cadere nell’abitudine, nel ritualismo, in schemi pastorali che si ripetono senza rinnovarsi e senza cogliere le sfide del presente“.
Nella storia dei due patroni di Roma, “ci ispira la loro volontà di aprirsi ai cambiamenti, di lasciarsi interrogare dagli avvenimenti, dagli incontri e dalle situazioni concrete delle comunità, di cercare strade nuove per l’evangelizzazione a partire dai problemi e dalle domande posti dai fratelli e dalle sorelle nella fede“.
Al centro del Vangelo odierno, c’è soprattutto “la domanda che Gesù pone ai suoi discepoli, e che rivolge anche a noi oggi, perché possiamo discernere se il cammino della nostra fede conserva dinamicità e vitalità“: «Ma voi, chi dite che io sia?» (Mt 16,15).
“Se non vogliamo che il nostro essere cristiani si riduca a un retaggio del passato, come tante volte ci ha ammoniti papa Francesco, è importante uscire dal rischio di una fede stanca e statica, per chiederci: chi è oggi per noi Gesù Cristo? Che posto occupa nella nostra vita e nell’azione della Chiesa? Come possiamo testimoniare questa speranza nella vita di tutti i giorni e annunciarla a coloro che incontriamo?“, ha detto ancora Prevost.
Secondo il Santo Padre, “l’esercizio del discernimento, che nasce da questi interrogativi, permette alla nostra fede e alla Chiesa di rinnovarsi continuamente e di sperimentare nuove vie e nuove prassi per l’annuncio del Vangelo“.
Il Pontefice ha concluso l’omelia salutando gli arcivescovi ai quali, subito dopo ha consegnato il pallio, simbolo che “esprime la comunione con il Vescovo di Roma, perché nell’unità della fede cattolica, ciascuno di voi possa alimentarla nelle Chiese locali a voi affidate“.
Nel corso della celebrazione eucaristica a San Pietro, hanno ricevuto il pallio dal vescovo di Roma 54 arcivescovi metropoliti, tra cui si segnalano tre italiani (mons. Antonio D’Angelo, arcivescovo metropolita de L’Aquila; mons. Saverio Cannistrà, arcivescovo metropolita di Pisa; mons. Angelo Raffaele Panzetta, arcivescovo metropolita di Lecce) e due cardinali (Stephen Brislin, arcivescovo metropolita di Johannesburg (Sudafrica); Robert Walter McElroy, arcivescovo metropolita di Washington (Usa).
Più tardi, nel corso dell’Angelus, il Papa si è soffermato sull’attualità del martirio dei Santi Pietro e Paolo, il cui sangue, assieme a quello di “molti altri martiri“, ha “fecondato” la Chiesa. “Anche ai nostri giorni“, ha detto, “in tutto il mondo ci sono cristiani che il Vangelo rende generosi e audaci persino a prezzo della vita. Esiste così un ecumenismo del sangue, una invisibile e profonda unità fra le Chiese cristiane, che pure non vivono ancora tra loro la comunione piena e visibile“.
“Questa piazza e le basiliche papali di San Pietro e di San Paolo ci raccontano come quel rovesciamento continui sempre e se si trovano ai margini della città antica, fuori le mura, come si dice fino ad oggi“, ha sottolineato il Pontefice aggiungendo che “chi segue Gesù si trova a camminare sulla via delle beatitudini, dove la povertà di spirito, la mitezza, la misericordia, la fame e la sete di giustizia, l’operare per la pace, trovano opposizione e anche persecuzioni“.
“Sulle tombe degli apostoli, meta millenaria di pellegrinaggio, anche noi scopriamo che possiamo vivere di conversione in conversione. Il Nuovo Testamento non nasconde gli errori, le contraddizioni, i peccati di quelli che veneriamo come i più grandi apostoli. La loro grandezza, infatti“, ha detto in conclusione il Santo Padre, “è stata modellata dal perdono il Risorto. Più di una volta è andato a prenderli per rimetterli sul suo cammino. Gesù non chiama mai una volta sola. È per questo che tutti possiamo sempre sperare, come ci ricorda anche il Giubileo“.
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