Papa Francesco in Iraq: “Da una crisi non si esce uguali a prima”

In Iraq, la ricostruzione del post-pandemia si intreccia a un’altra ricostruzione: quella da un quarantennio di dittature, guerre e terrorismo.

In questo scenario, la storica visita di papa Francesco si pone come un fattore di speranza.

Il Santo Padre è atterrato all’aeroporto internazionale di Baghdad a mezzogiorno, accolto dal primo ministro iracheno, Mustafa Abdellatif Mshatat. Dopo un breve incontro privato con il premier nella sala VIP dell’aeroporto, il Pontefice si è recato presso il Palazzo Presidenziale per la Cerimonia Ufficiale di benvenuto.

No al fondamentalismo

Dopo l’incontro privato con il presidente della Repubblica, Barham Ahmed Salih Qassim, è avvenuto il tradizionale discorso alle autorità, al corpo diplomatico e alla società civile del paese mediorientale. Il Papa ha toccato innanzitutto il tema della pandemia: in tal senso, ha detto, servono “sforzi comuni” e un’“equa distribuzione dei vaccini per tutti”. Tutto ciò, però, “non basta”. È necessario, ha proseguito, “uscire da questo tempo di prova migliori di come eravamo prima”.

Entrando nel merito della realtà irachena, Francesco ha ricordato “i disastri delle guerre, il flagello del terrorismo e conflitti settari spesso basati su un fondamentalismo che non può accettare la pacifica coesistenza di vari gruppi etnici e religiosi, di idee e culture diverse”. Tra le tante comunità che hanno sofferto in questi anni, Bergoglio ha menzionato “gli yazidi, vittime innocenti di insensata e disumana barbarie, perseguitati e uccisi a motivo della loro appartenenza religiosa”. Ciononostante, ha aggiunto, “la diversità religiosa, culturale ed etnica, che ha caratterizzato la società irachena per millenni, è una preziosa risorsa a cui attingere, non un ostacolo da eliminare”.

Anche per questo, “l’Iraq è chiamato a mostrare a tutti, specialmente in Medio Oriente, che le differenze, anziché dar luogo a conflitti, devono cooperare in armonia nella vita civile”. Il Santo Padre ha quindi lanciato un appello alle autorità competenti” affinché “concedano a tutte le comunità religiose riconoscimento, rispetto, diritti e protezione. “Dopo una crisi – ha sottolineato il Pontefice – non basta ricostruire, bisogna farlo bene: in modo che tutti possano avere una vita dignitosa. Da una crisi non si esce uguali a prima: si esce o migliori o peggiori”.

“Dio ci ascolta sempre!”

Il Vescovo di Roma si è presentato agli iracheni “come penitente che chiede perdono al Cielo e ai fratelli per tante distruzioni e crudeltà. Vengo come pellegrino di pace, in nome di Cristo, Principe della Pace”. Il Papa ha quindi ricordato tutte le “iniziative” che il suo predecessore San Giovanni Paolo II portò avanti per la pace in Iraq, offrendo “preghiere e sofferenze” per la causa di questo paese.

Dio ascolta, ascolta sempre! – ha proseguito Bergoglio –. Sta a noi ascoltare Lui, camminare nelle sue vie. Tacciano le armi! Se ne limiti la diffusione, qui e ovunque! Cessino gli interessi di parte, quegli interessi esterni che si disinteressano della popolazione locale. Si dia voce ai costruttori, agli artigiani della pace! Ai piccoli, ai poveri, alla gente semplice, che vuole vivere, lavorare, pregare in pace. Basta violenze, estremismi, fazioni, intolleranze!”.

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Richiamandosi al Documento sulla fratellanza umana (firmato ad Abu Dhabi, il 4 febbraio 2019), il Santo Padre ha quindi ricordato che “la religione, per sua natura, dev’essere al servizio della pace e della fratellanza”. Il nome di Dio, quindi, non può essere usato per “giustificare atti di omicidio, di esilio, di terrorismo e di oppressione. Al contrario Dio, che ha creato gli esseri umani uguali nella dignità e nei diritti, ci chiama a diffondere amore, benevolenza, concordia”.

Contro il “virus dello scoraggiamento” Dio ha un “vaccino”

Seconda tappa della prima giornata del Papa in Iraq è stata la cattedrale siro-cattolica della Nostra Signora della Salvezza, dove è avvenuto l’incontro con i vescovi, il clero, i religiosi, i seminaristi e i catechisti. Il Pontefice è stato accolto dall’indirizzo di saluto di Sua Beatitudine Ignace Youssif III Younan, Patriarca di Antiochia dei Siri, e del patriarca caldeo di Babilonia, cardinale Louis Raphael I Sako.

La sofferenza di popoli come quello iracheno può facilmente diffondere il “virus dello scoraggiamento”. Contro questo virus, però, “il Signore ci ha dato un vaccino efficace”: quello della “speranza che nasce dalla preghiera perseverante e dalla fedeltà quotidiana al nostro apostolato”.

Negli ultimi decenni, il popolo iracheno e la sua chiesa hanno dovuto affrontare “gli effetti della guerra e delle persecuzioni, la fragilità delle infrastrutture di base e la continua lotta per la sicurezza economica e personale, che spesso ha portato a sfollamenti interni e alla migrazione di molti, anche tra i cristiani, in altre parti del mondo”. A questo proposito, Francesco ha ringraziato i vescovi e i sacerdoti iracheni per essere rimasti vicini al loro “popolo” e per essersi prodigati “al servizio del bene comune”. Li ha quindi incoraggiati a “perseverare in questo impegno, al fine di garantire che la Comunità cattolica in Iraq, sebbene piccola come un granello di senape, continui ad arricchire il cammino del Paese nel suo insieme”.

Ricordo dei martiri del 2010

La Chiesa irachena, ha proseguito Bergoglio, si presenta come una pluralità di comunità, “ognuna con il suo secolare patrimonio storico, liturgico e spirituale”. Queste chiese “sono come tanti singoli fili colorati che, intrecciati insieme, compongono un unico bellissimo tappeto, che non solo attesta la nostra fraternità, ma rimanda anche alla sua fonte”. Dio stesso, infatti, “è l’artista che ha ideato questo tappeto, che lo tesse con pazienza e lo rammenda con cura, volendoci sempre tra noi ben intrecciati, come suoi figli e figlie”.

Il Santo Padre ha rivolto un pensiero ai “nostri fratelli e sorelle morti nell’attentato terroristico in questa Cattedrale dieci anni fa [31 ottobre 2010, ndr] e la cui causa di beatificazione è in corso. La loro morte – ha detto – ci ricorda con forza che l’incitamento alla guerra, gli atteggiamenti di odio, la violenza e lo spargimento di sangue sono incompatibili con gli insegnamenti religiosi”.

In conclusione, il Papa ha indicato nei giovani una “ma una ricchezza incalcolabile per l’avvenire” dell’Iraq. Ai vescovi e ai sacerdoti, ha raccomandato di “prendersene cura, alimentandone i sogni, accompagnandone il cammino, accrescendone la speranza”. Benché la loro pazienza sia stata “messa duramente alla prova dai conflitti di questi anni”, i giovani rimangono “la punta di diamante del Paese, i frutti più saporiti dell’albero: sta a noi coltivarli nel bene e irrigarli di speranza”.

Luca Marcolivio

 

 

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