Papa Francesco: come convertire il cuore vincendo l’indifferenza

Papa Francesco invita a creare una “cultura della cura per debellare la cultura dell’indifferenza, dello scarto e dello scontro”, spiegando come fare.

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È quanto urge, più che mai, alla fine di questo 2020, anno che passerà alla storia per la più grave crisi pandemica degli ultimi cent’anni. Papa Francesco ha dedicato il suo Messaggio per la 54° Giornata Mondiale della Pace al tema La cultura della cura come percorso di pace.

Papa Francesco: la nostra è una ‘crisi nella crisi’

Nel suo documento il Santo Padre rivolge innanzitutto un pensiero “a coloro che hanno perso un familiare o una persona cara, ma anche a quanti sono rimasti senza lavoro”. Senza trascurare i “medici”, gli “infermieri”, i “farmacisti”, i “ricercatori”, i “volontari”, i “cappellani” e il “personale di ospedali e centri sanitari”.

La crisi sanitaria in corso, rileva il Pontefice, ha aggravato le crisi “climatica, alimentare, economica e migratoria” già esistenti, “provocando pesanti sofferenze e disagi”. Accanto a “numerose testimonianze di carità e solidarietà”, va preso atto dell’affermazione di “diverse forme di nazionalismo, razzismo, xenofobia e anche guerre e conflitti”.

Cura: un concetto che riporta alla Sacra Scrittura

Il concetto di “cura” affonda le radici nella Sacra Scrittura, a partire dalla custodia della terra che Dio affida ad Abramo (cfr Gen 2,8.15). “Ciò significa, da una parte, rendere la terra produttiva e, dall’altra, proteggerla e farle conservare la sua capacità di sostenere la vita”.

Il peccato originale e, in seguito, l’assassinio di Abele da parte del fratello Caino, vanno a incrinare questa custodia. Eppure, proprio Caino “riceve in dono dal Creatore un segno di protezione, affinché la sua vita sia salvaguardata (cfr Gen 4,15)”. Questo episodio “conferma la dignità inviolabile della persona, creata ad immagine e somiglianza di Dio”. Al tempo stesso, “manifesta anche il piano divino per preservare l’armonia della creazione, perché la pace e la violenza non possono abitare nella stessa dimora”.

Il grido del povero presente in tutta la Sacra Scrittura

Già nell’Antico Testamento, dunque, sono radicate una particolare attenzione ai deboli e un senso di giustizia per i poveri, “i quali, per la loro vulnerabilità e mancanza di potere, sono ascoltati solo da Dio (cfr Sal 34,7; 113,7-8). In questo solco, si inserisce la tradizione dello Shabbat, per cui la celebrazione del Giubileo “consentiva una tregua alla terra, agli schiavi e agli indebitati. In questo anno di grazia – ricorda il Papa – ci si prendeva cura dei più fragili, offrendo loro una nuova prospettiva di vita, così che non vi fosse alcun bisognoso nel popolo (cfr Dt 15,4)”.

Il ministero di Gesù si apre proprio nel segno del “lieto annuncio” del Signore che proclama “ai prigionieri la liberazione”, “ai ciechi la vista” e la “libertà” per “gli oppressi” (Lc 4,18). Egli è “il Buon Pastore che si prende cura delle pecore (cfr Gv 10,11-18; Ez 34,1-31)”. Cristo è “il Buon Samaritano che si china sull’uomo ferito, medica le sue piaghe e si prende cura di lui (cfr Lc 10,30-37)”. Gesù “si avvicina ai malati nel corpo e nello spirito e li guarisce; perdona i peccatori e dona loro una vita nuova”.

La cura dei deboli, segno distintivo della Chiesa in ogni tempo

Bergoglio menziona poi le “opere di misericordia spirituale e corporale” come “nucleo del servizio di carità della Chiesa primitiva”. La “condivisione” e l’apertura delle proprie case era tipica dei “cristiani della prima generazione”, affinché “nessuno tra loro fosse bisognoso (cfr At 4,34-35)”. Anche dopo la fine delle persecuzioni, la Chiesa ha consolidato queste attitudini, erigendo “ospedali, ricoveri per i poveri, orfanotrofi e brefotrofi, ospizi”. Alcuni “Padri della Chiesa” hanno insistito sul fatto che “la proprietà è intesa da Dio per il bene comune”.

Nel corso dei secoli, la cura è diventato segno della “promozione della dignità e dei diritti della persona”. Ogni persona, ribadisce il Santo Padre, “è un fine in sé stessa, mai semplicemente uno strumento da apprezzare solo per la sua utilità”. In un’ottica di “bene comune”, dunque, “i nostri piani e sforzi devono sempre tenere conto degli effetti sull’intera famiglia umana”. Nel pieno della pandemia del Covid-19, ci siamo ritrovati tutti “sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme”. “Nessuno si salva da solo – sottolinea il Pontefice – e nessuno Stato nazionale isolato può assicurare il bene comune della propria popolazione”.

La cura si sostanzia nell’attenzione all’altro “non come un dato statistico, o un mezzo da sfruttare e poi scartare quando non più utile, ma come nostro prossimo, compagno di strada, chiamato a partecipare, alla pari di noi, al banchetto della vita a cui tutti sono ugualmente invitati da Dio”. A tal proposito, il Papa fa un richiamo alla Laudato Si’, che “prende atto pienamente dell’interconnessione di tutta la realtà creata e pone in risalto l’esigenza di ascoltare nello stesso tempo il grido dei bisognosi e quello del creato”.

Papa Francesco: l’invito a cambiare mentalità e deporre le armi

Di seguito, Francesco lancia un appello ai potenti a tutti i livelli, affinché imprimano una “rotta veramente umana” al “processo di globalizzazione”, tutelando e promuovendo i “diritti umani fondamentali”. Un’ammonizione arriva riguardo alla recrudescenza dei conflitti e alla corsa al riarmo nucleare. “Cosa ha portato alla normalizzazione del conflitto nel mondo? – domanda Bergoglio –. E, soprattutto, come convertire il nostro cuore e cambiare la nostra mentalità per cercare veramente la pace nella solidarietà e nella fraternità?”. Da qui il rilancio di una vecchia proposta: la costituzione di un “fondo mondiale”, in cui le spese militari siano convertite in incentivi per “eliminare definitivamente la fame e contribuire allo sviluppo dei Paesi più poveri”.

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La famiglia in primis, poi la “scuola”, l’“università” e, “per certi aspetti, i soggetti della comunicazione sociale” sono indicati dal Santo Padre come agenti di “promozione della cultura della cura”. In conclusione, il Pontefice esorta a non cedere alla “tentazione di disinteressarci degli altri, specialmente dei più deboli” e a non abituarsi a “voltare lo sguardo”. L’invito è quindi ad impegnarsi “ogni giorno concretamente per formare una comunità composta da fratelli che si accolgono reciprocamente, prendendosi cura gli uni degli altri”.

Luca Marcolivio

Testo integrale del Messaggio per la 54° Giornata Mondiale della Pace: http://www.vatican.va/content/francesco/it/events/event.dir.html/content/vaticanevents/it/2020/12/17/messaggio-pace.html

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