Papa Francesco: in che modo Pietro e Paolo furono liberati da Gesù?

L’attualità delle vicende di conversione dei patroni di Roma al centro dell’omelia del Papa.

Al centro della storia dei Santi Pietro e Paolo “non c’è la loro bravura, ma l’incontro con Cristo che ha cambiato la loro vita”.

Pietro, guarito dalla paura

Durante la celebrazione eucaristica nella basilica vaticana, in occasione della festa dei patroni di Roma, papa Francesco ha individuato nell’esperienza di un amore che li ha guariti e liberati”, il quid fondamentale della vita di Pietro e Paolo. Entrambi “sono liberi solo perché sono stati liberati”.

Pietro, in particolare, è stato “liberato dal senso di inadeguatezza e dall’amarezza del fallimento”, in primo luogo nel suo mestiere di pescatore, quando termina una notte a reti vuote (cfr Lc 5,5; Gv 21,5).

In seguito, Pietro deve fare i conti con la sua inadeguatezza nel ruolo di principe degli Apostoli. “Pur essendo un appassionato discepolo del Signore – ha ricordato il Santo Padre – ha continuato a ragionare secondo il mondo senza riuscire a comprendere e accogliere il significato della Croce del Cristo” (cfr Mt 16,22). Infine, per pavidità, arriva “rinnegare il Maestro (cfr Mc 14,66-72)”.

Nonostante questi evidenti limiti, Gesù ha amato Pietro “gratuitamente e ha scommesso su di lui. Lo ha incoraggiato a “seguirlo sulla via della Croce, a dare la vita per i fratelli, a pascere le sue pecore”.

Lo ha quindi “liberato dalla paura, dai calcoli basati sulle sole sicurezze umane”, chiamandolo, in definitiva, a “confermare nella fede i fratelli (cfr Lc 22,32)” e affidandogli “le chiavi per aprire le porte che conducono all’incontro con il Signore e il potere di legare e sciogliere: legare i fratelli a Cristo e sciogliere i nodi e le catene della loro vita (cfr Mt 16,19)”.

La prima lettura odierna racconta della sua miracolosa liberazione delle catene, mentre è in carcere (cfr At 12,7-10). Come gli israeliti in fuga dall’Egitto, “Pietro fa l’esperienza della Pasqua: il Signore lo ha liberato”.

Paolo, guarito dal suo io

Anche San Paolo, grazie a Cristo, sperimenta la sua “liberazione”. Egli viene liberato “dalla schiavitù più opprimente, quella del suo io, e da Saulo, nome del primo re di Israele, è diventato Paolo, che significa ‘piccolo”.

Paolo viene inoltre liberato “dallo zelo religioso che lo aveva reso accanito nel sostenere le tradizioni ricevute (cfr Gal 1,14) e violento nel perseguitare i cristiani”, un vero “fondamentalista”.

In compenso, Dio non gli risparmia tante debolezze e difficoltà” che, però, “resero più feconda la sua missione evangelizzatrice. Paolo soffre “l’infermità fisica (cfr Gal 4,13-14); le violenze e le persecuzioni, i naufragi, la fame e la sete”.

Lui stesso, poi, parla di “una spina che lo tormentò nella carne (cfr 2Cor 12,7-10)”. Paolo, però, sperimenta che tutto può “in Lui che ci dà forza (cfr Fil 4,13)” e anche lui fa “l’esperienza della Pasqua: il Signore lo ha liberato”.

Attualità di due apostoli

Di fronte ai peccati di Pietro e Paolo, Cristo “non li ha giudicati, non li ha umiliati, ma ha condiviso la loro vita con affetto e vicinanza, sostenendoli con la sua stessa preghiera e, qualche volta, richiamandoli per scuoterli al cambiamento”.

A Pietro, Gesù ha detto: «Io ho pregato per te, affinché non venga meno la tua fede» (Lc 22,32). A Paolo, invece, domanda: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?» (At 9,4).

Con noi, Gesù si comporta come con Pietro e Paolo: “ci assicura la sua vicinanza pregando per noi e intercedendo presso il Padre; e ci rimprovera con dolcezza quando sbagliamo, perché possiamo ritrovare la forza di rialzarci e riprendere il cammino”.

Come Pietro e Paolo, “abbiamo sempre bisogno di venire liberati, perché solo una Chiesa libera è una Chiesa credibile”. Come Pietro, abbiamo bisogno di essere liberi “dalla paura che ci immobilizza e ci rende timorosi, di fronte a sconfitte come una “pesca talvolta fallimentare”.

Come Paolo, poi, “siamo chiamati a essere liberi dalle ipocrisie dell’esteriorità”, da “un’osservanza religiosa che ci rende rigidi e inflessibili”, da “legami ambigui col potere e dalla paura di essere incompresi e attaccati”.

Un saluto ecumenico

Poi, il Pontefice si è domandato: “Le nostre città, le nostre società, il nostro mondo, quanto hanno bisogno di liberazione? Quante catene vanno spezzate e quante porte sbarrate devono essere aperte! Noi possiamo essere collaboratori di questa liberazione, ma solo se per primi ci lasciamo liberare dalla novità di Gesù e camminiamo nella libertà dello Spirito Santo”.

Nel corso della messa, il Papa ha benedetto i Palli, presi dalla Confessione dell’Apostolo Pietro e destinati agli Arcivescovi Metropoliti nominati nel corso dell’anno. “Questo segno di unità con Pietro ricorda la missione del pastore che dà la vita per il gregge”, ha affermato.

A conclusione dell’omelia, Francesco ha salutato la Delegazione del Patriarcato Ecumenico, inviata in questa occasione dal caro fratello Bartolomeo. “La vostra gradita presenza – ha detto ai vescovi ortodossi – è un prezioso segno di unità nel cammino di liberazione dalle distanze che scandalosamente dividono i credenti in Cristo”.

Luca Marcolivio

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