In Pakistan, migliaia di manifestanti sono da diversi giorni accampati all’esterno della Presidenza a Islamabad per chiedere la condanna a morte di Asia Bibi, una donna cristiana, madre di 5 figli, ingiustamente accusata di blasfemìa e in carcere da quasi 7 anni. I dimostranti assicurano di esser “pronti a
R. – Purtroppo sono quelle notizie che è facile far scivolare in seconda, terza, quarta pagina e così via nei giornali. E’ una notizia, infatti, che non fa notizia, purtroppo. Asia Bibi è vittima della legge sulla blasfemìa, che è una legge modificata, che paradossalmente nasce per tutelare la libertà di religione. Viene modificata negli anni ’80 proprio in chiave, esclusivamente, di tutela dell’islamismo. Asia Bibi è accusata ingiustamente e tenuta in prigione solo perché non accetta di piegarsi alla violenza di questa legge.
D. – Gli atti di terrorismo in Pakistan, come in Occidente, non devono impaurirci…
R. – Esattamente, perché cedendo al tentativo di farci rinunciare a quello che siamo – una democrazia tollerante, libera, un progetto di coesistenza pacifico – non sconfiggeremmo il terrorismo e gliela daremmo vinta. Penso che si tratti di una guerra – come ha detto il Papa già qualche tempo fa: “una guerra mondiale a pezzi” – ma una guerra anomala, che non si vince innanzitutto con i carri armati, innalzando muri, creando dei ghetti, come è successo di fatto alla comunità islamica a Bruxelles. Si tratta, infatti, della volontà di colpire questo progetto di convivenza pacifica tra religioni, culture e modi di vivere diversi. Colpisce molto il fatto che sia fatta oggetto di queste violenze una piccola minoranza. I cristiani in Pakistan sappiamo che sono meno del 2 per cento, tra cattolici e protestanti, per di più appartenenti ad una fascia debole della popolazione, povera. Non sono certo un pericolo per i musulmani in Pakistan. Quindi è chiaro il disegno di voler sgretolare una prospettiva di convivenza pacifica; è chiaro il disegno di voler mettere in discussione equilibri che in fin dei conti caratterizzavano il Pakistan fin dalla sua origine.
fonte:radiovaticana