Ecco l’estratto di una lettera, molto partecipata, che un sacerdote ha fatto arrivare al “New York Times”, qualche tempo fa.
Il sacerdote così scrive: “Caro fratello giornalista, sono un semplice prete cattolico. Mi sento fiero e felice della mia vocazione, e sono ormai vent’anni e poco più che vivo in Angola come missionario.
Constato in numerosi media, soprattutto nel vostro giornale, una recrudescenza di articoli consacrati ai preti pedofili, sempre con una prospettiva facile e di sicuro impatto emotivo, volta a scrutare nelle loro vite gli errori del passato.
(…) Alcune presentazioni giornalistiche sono ponderate ed equilibrate. Delle altre esagerano, causano un pregiudizio, seminano odio. Io stesso sento un grande dolore per il male immenso che provocano alcuni tra quanti dovrebbero essere segni viventi dell’Amore di Dio. Essi infliggono una pugnalata alla vita di troppi esseri innocenti. Non esistono parole che possano giustificare simili atti. (…) Mi fa impressione, che si leggano così poche notizie riguardo a quelle migliaia di preti che sacrificano la loro vita spendendosi per milioni di bambini e di adolescenti, ricchi o poveri, privilegiati o sfavoriti, ai quattro angoli della Terra.
Penso che il New York Times, quindi, non sarà interessato ad apprendere che:
Ho dovuto trasportare decine di bambini affamati in mezzo ai campi minati a causa della guerra del 2002 tra Cangumbe e Luena (due città dell’Angola N.d.T.), perché il governo non riusciva a farlo e le Ong non avevano le autorizzazioni necessarie.
Ho dovuto seppellire decine di bambini morti durante il loro esodo in fuga dalla guerra.
L’alfabetizzazione di centinaia di prigionieri non deve sembrare, essa pure, un’informazione cruciale.
Allo stesso modo è inutile sapere che altri preti, come padre Stéphane, organizzano ostelli della gioventù che servano da rifugio ai giovani maltrattati, picchiati e perfino violentati.
Tanto meno è interessante che padre Maiato, dall’alto dei suoi 80 anni, visiti le case dei poveri, una per una, confortando i malati e i disperati.
Che decine di missionari in Angola siano morti per una banale malaria, a causa dell’inconsistenza dei mezzi sanitari;
Che altri siano saltati in aria sulle mine mentre andavano a visitare i loro fedeli (nel cimitero di Kalulo si trovano le tombe dei primi preti che sono arrivati nella regione: nessuno aveva più di quarant’anni);
Seguire un prete “normale” nel suo lavoro quotidiano, nelle sue difficoltà e nelle sue gioie, mentre dispensa vita, senza strepito, alla comunità che serve … questo non vende.
La verità è che noi non vogliamo creare informazione, ma semplicemente portare la Buona Notizia, questa Notizia che – senza rumore – ha cominciato a far parlare di sé dalla notte di Pasqua. Un albero che cade fa più rumore di mille alberi che crescono.
Si fa parecchio più baccano per un prete che si macchia di una colpa che per migliaia di preti che danno la vita per i poveri e gli indigenti.
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