Padre Jalal Yako: Sono disposto a morire con loro, non li abbandono

Padre Jalal Yako non vuole abbandonare i cristiani della Piana di Ninive

Ad un anno dalla liberazione della Piana di Ninive, in Iraq, come vivono le famigli cristiane che hanno deciso di ritornare alle loro abitazioni distrutte dagli estremisti islamici?
Quello è un luogo che comprende anche Mosul, di cui siamo abituati a sentir parlare per la massiccia presenza e il feroce intervento dello Stato islamico, che la teneva sotto scacco dal 2014.
Sono stati circa 60.000 coloro che sono scappati da quelle terre e a raccontarlo è anche un sacerdote che è rimasto li, ad attendere il ritorno degli altri cristiani, per ricominciare a ricostruire le loro case e la loro serenità.
Padre Jalal dice: “La mia missione è qui, tra queste persone in difficoltà.”. “Non potevo abbandonarle. Questa è una zona molto povera e bisognosa, è proprio qui che il Signore ci ha indicato di restare.”.
Padre Jalal appartiene alla Congregazione dei Rogazionisti di Messina, fondata da San Annibale Maria di Francia nel 1878; è dunque un missionario che si occupa, come il resto del suo Ordine, delle zone più dimenticate delle città, quelle abitate dai poveri e dagli orfani, per cui cercano di costruire scuole e orfanotrofi.
Lui vive nei pressi di Mosul dal 2011, per sua iniziativa, poiché è originario proprio dell’Iraq, anche se, avendo vissuto in Italia per 18 anni ed avendo ottenuto la cittadinanza, avrebbe potuto starsene in disparte, qui, ed evitare di vedere quelle brutture, causate dalla spregevole oppressione delle forze islamiche, nel perseguitare e sterminare i cristiani: “È la mia terra, sentivo che dovevamo aiutare questo popolo. Prima dell’arrivo di Daesh facevamo catechismo ai bambini, organizzavamo laboratori didattici con il legno e i colori, scuole estive e altre attività per la comunità, come il cinema all’aria aperta o i corsi di musica, ma oggi è tutto fermo. Serve tempo e tanto lavoro per ricominciare.”.
Nella Piana di Ninive è tutto da ricostruire. Al momento non c’è ne acqua, né elettricità, tutt’intorno ci sono macerie e null’altro. Le case sono state bruciate o rase al suo, persino la rete idrica e quella fognaria sono andate distrutte.
Sotto la città, poi, ci sono i tunnel usati dai cristiani per scappare, cercando di salvarsi e di sfuggire agli islamici.
Anche Padre Jalal li conosce bene: “Siamo scappati a piedi, la notte del 7 Agosto 2014, quando Daesh era alle porte di Qaraqosh.”. “Avevamo uno zaino in spalla e sentivamo i colpi di mortaio. Quasi tutte le famiglie erano già fuggite verso Erbil il giorno prima, ma io e un altro confratello siamo rimasti fino alla fine.”.
Terribile immaginare lo sgomento di quei giorni di un passato così vicino, che ha il sapore di desolazione, per un luogo dove non c’è pace per i cristiani che, più di una volta, hanno dovuto abbandonarlo per avere salva la vita.
Nonostante questo, il loro spirito è ancora forte, come quello di Padre Jalal, e non vogliono abbandonare quella loro terra.
“Qualche volta i bambini chiedono se tornerà Daesh. Io gli dico di no. Non penso che Daesh ritornerà. Abbiamo paura che tornerà altro, magari con un altro nome e non riusciremo a scappare. Qui non c’è più uno Stato. Ci sono eserciti, milizie e bande che pensano ai propri interessi e nessuno garantisce il più basico diritto umano. Siamo soli, nelle mani di Dio.”.

 

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