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Padre Amorth: Malati spirituali, non trasformiamoli nei lebbrosi dei giorni nostri

Padre Amorth ha dato un contributo importante per favorire la riflessione, sul carisma di accoglienza dei malati spirituali, che hanno bisogno di essere seguiti con molta attenzione.

Per entrare in argomento…
Nelle malattie fisiche la diagnosi è solitamente semplice ed avviene da parte di un medico attraverso l’identificazione dei sintomi (anamnesi) a cui segue la cura (terapia). A volte un problema fisico rilevante può sfociare in un disagio psicologico (malattia somato-psichica)

Nelle malattie psico-emozionali invece tutto si fa più complesso perché ogni persona rappresenta un universo a sé, ed anche gli psicoterapeuti più esperti si trovano di fronte a variabili e a grandi difficoltà. Non è raro il caso nel quale un disagio psico-emozionale viene trasformato in un problema fisico (malattia psico-somatica).
Nelle malattie spirituali la corretta diagnosi è ancora più difficoltosa, perché alle manifestazioni classiche (ossessioni, vessazioni e possessioni) rese evidenti solo in particolari condizioni di preghiera, si affiancano spesso disagi psicologici e fisici più o meno palesi.

Malati spirituali: non trasformiamoli nei lebbrosi dei giorni nostri
Ma quando il discernimento sull’origine delle manifestazioni che colpiscono il malato spirituale è avvenuto correttamente (la diagnosi spetta a sacerdoti o a laici debitamente formati), chi vive l’azione straordinaria delle forze del male spesso si trova a sperimentare l’isolamento e lo stigma proprio da parte di chi dovrebbe essere più vicino ed accogliente, cioè dai parenti, dai conoscenti e, sovente, anche dai ministri di Cristo. Il malato spirituale si trova così in una condizione di allontanamento ed emarginazione molto simile a quella sofferta dai lebbrosi citati nella Bibbia. Ma Gesù di fronte al lebbroso che gli si prostra davanti chiedendogli di purificarlo stende la mano, lo tocca senza timore di contaminarsi e gli dice: «Lo voglio, sii purificato». (Mt 8,2-3) In questa sequenza è ben espressa un’esemplare didattica che si sviluppa attraverso momenti consequenziali: la richiesta, l’ascolto, la compassione, l’accoglienza e l’azione.

I malati spirituali non sono pazzi, anche se a volte assomigliano

Così come nella lebbra le piaghe sono evidenti nel corpo, altrettanto nei mali spirituali si manifestano a livello psico-emozionale. Si è fiaccati da pensieri ossessivi, da visioni, da rumori, da dolori e, in alcuni casi, è presente l’avversione al sacro che non consente di vivere la Santa Messa o i momenti di preghiera in modo composto. Il vero malato spirituale è spesso convinto di essere pazzo e questo pensiero accomuna anche moltissimi familiari, conoscenti e sacerdoti. A questo punto il malato viene allontanato sempre di più dall’ordinarietà e vive costantemente la straordinarietà, punteggiata da esorcismi, preghiere di liberazione, rincorsa verso carismatici veri o presunti… Ma questa “sovraesposizione spirituale” a senso unico è pericolosa, perché rinchiude chi la vive in un ghetto e lo isola.

Normalizzare l’anormale: un percorso possibile
La sfida più grande è quella di “normalizzare l’anormale” e di rendere “ordinario lo straordinario”. Ma come fare? Occorre attuare la sequenza insegnata da Gesù: ascolto, compassione, accoglienza e azione. Occorre formare laici e sacerdoti capaci di un ascolto competente ed empatico, capaci di “patire con” la persona tribolata. Poi occorre fornire ai bisognosi luoghi e momenti di accoglienza e di aggregazione, dove pregare ma anche scherzare, imparare ma anche condividere, soffrire ma anche gioire. Occorre infine aiutare chi soffre a mettere in moto un’azione personale di presa d’autorità sul male e sul maligno, affinché quest’ultimo non abbia mai l’ultima parola.

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