Padre Amorth ha dato un contributo importante per favorire la riflessione, sul carisma di accoglienza dei malati spirituali, che hanno bisogno di essere seguiti con molta attenzione.
Per entrare in argomento…
Nelle malattie fisiche la diagnosi è solitamente semplice ed avviene da parte di un medico attraverso l’identificazione dei sintomi (anamnesi) a cui segue la cura (terapia). A volte un problema fisico rilevante può sfociare in un disagio psicologico (malattia somato-psichica)
Malati spirituali: non trasformiamoli nei lebbrosi dei giorni nostri
Ma quando il discernimento sull’origine delle manifestazioni che colpiscono il malato spirituale è avvenuto correttamente (la diagnosi spetta a sacerdoti o a laici debitamente formati), chi vive l’azione straordinaria delle forze del male spesso si trova a sperimentare l’isolamento e lo stigma proprio da parte di chi dovrebbe essere più vicino ed accogliente, cioè dai parenti, dai conoscenti e, sovente, anche dai ministri di Cristo. Il malato spirituale si trova così in una condizione di allontanamento ed emarginazione molto simile a quella sofferta dai lebbrosi citati nella Bibbia. Ma Gesù di fronte al lebbroso che gli si prostra davanti chiedendogli di purificarlo stende la mano, lo tocca senza timore di contaminarsi e gli dice: «Lo voglio, sii purificato». (Mt 8,2-3) In questa sequenza è ben espressa un’esemplare didattica che si sviluppa attraverso momenti consequenziali: la richiesta, l’ascolto, la compassione, l’accoglienza e l’azione.
I malati spirituali non sono pazzi, anche se a volte assomigliano
Normalizzare l’anormale: un percorso possibile
La sfida più grande è quella di “normalizzare l’anormale” e di rendere “ordinario lo straordinario”. Ma come fare? Occorre attuare la sequenza insegnata da Gesù: ascolto, compassione, accoglienza e azione. Occorre formare laici e sacerdoti capaci di un ascolto competente ed empatico, capaci di “patire con” la persona tribolata. Poi occorre fornire ai bisognosi luoghi e momenti di accoglienza e di aggregazione, dove pregare ma anche scherzare, imparare ma anche condividere, soffrire ma anche gioire. Occorre infine aiutare chi soffre a mettere in moto un’azione personale di presa d’autorità sul male e sul maligno, affinché quest’ultimo non abbia mai l’ultima parola.
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