La fretta è cattiva consigliera, lo sentiamo dire da quando eravamo piccoli. E il padre della fretta è certamente l’istinto, quella forza propulsiva che sentiamo arrivare all’improvviso, salire dai piedi al collo e, dalla nostra bocca, partorisce la prima cosa che ci viene in mente, ammazzando brutalmente ogni proponimento di pazienza.
Ciò che diciamo, perdendo la pazienza, solitamente non è affatto ragionato, ma frutto della prima risposta suscitata dai nostri sensi, dalle nostre percezioni.
Si dice spesso che sia bene seguire l’istinto, per essere più naturali, ma se lo facessimo, saremmo tutti degli animali, poiché daremmo spazio e vigore alle azioni più brutali, alle pulsioni più basse, come una risposta rabbiosa ad una offesa.
Lasciarsi andare alle indicazioni sensoriali e decidere su due piedi cosa agire, non è per nulla cosa buona, ma tanto umana.
Lui non desidera altro che starci accanto e sostenerci in ogni modo, ma, per farlo, ha bisogno della nostra richiesta, della nostra abnegazione; ha bisogno che rinunciamo, in qualche modo, alla nostra libertà, per lasciarlo agire, come noi non potremmo.
Abbandonati, in ginocchio, davanti a lui, chiediamo il dono della fiducia e la capacità di renderci piccoli, umili, soprattutto pazienti, di ascoltare col le orecchie del cuore.
O Signore, salvatore paziente, tu accettasti, come volontà del Padre, l’amaro calice della tua Passione e della tua morte, ascolta il mio lamento e il tuo esempio mi aiuti a sopportare le mie sofferenze per partecipare, almeno in parte, alla tua Passione.
Fa che la pazienza con la quale sopporterò i miei dolori esprima la riconoscenza profonda del mio amore per te, tu che sei il Cristo crocifisso. Amen.
Antonella Sanicanti
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