Olimpiadi Tokyo: la discriminazione contro le donne di cui nessuno parla  

Per la prima volta vedremo gareggiare atleti transgender. È un progresso? No, e i motivi sono presto spiegati.

Alle Olimpiadi di Tokyo, in programma a fine agosto, rischia di esplodere una nuova ‘bomba atomica’ dopo quelle di Hiroshima e Nagasaki.

Sollevatore o sollevatrice?

Per la prima volta, infatti, potrebbe debuttare un’atleta transgender. Il suo nome è Laurel Hubbard, 43 anni, sollevatore di pesi neozelandese, che ha completato il percorso di transizione tra il 2012 e il 2013.

Se da uomo, Hubbard aveva avuto una carriera agonistica avara di successi, l’identità di genere è stata la sua ‘carta vincente’.

Autorizzato a partecipare alle gare femminili, l’atleta neozelandese ha vinto due ori ai Giochi del Commonwealth, due ori ai Campionati dell’Oceania e uno ai Giochi del Pacifico, tutti conseguiti nelle categorie 87 e 90 chili.

Superato un grave infortunio, che lo tenne lontano dalle competizioni, Hubbard ha vinto un nuovo oro ai campionati mondiali di Roma del 2020.

Il disco verde per la partecipazione di uomini alle gare femminili è arrivato dal Comitato Olimpico Internazionale nel 2015. Da sei anni, quindi, anche un atleta di sesso maschile può gareggiare con le donne, anche senza aver affrontato l’intervento chirurgico, né le cure ormonali.

Unica condizione è aver un livello di testosterone nel sangue inferiore a 10 nanomoli nei dodici mesi che precedono la competizione.

Se gli uomini si sentono donne, le donne… si sentono discriminate

L’arrivo di una new entry transgender, com’era prevedibile, non è stato gradito alle maggior parte delle atlete. Tra i detrattori dello sdoganamento, c’è Tracey Lambrechs, anche lei sollevatrice neozelandese, che ha contestato il maggior vigore fisico di concorrenti come Hubbard, avvantaggiati dall’aver conservato la densità ossea e muscolare a livelli maschili, quindi, in grado di sbaragliare facilmente le altre atlete.

Lambrechs ha accusato la propria federazione sportiva nazionale di aver messo a tacere le atlete contrarie all’‘innovazione’. Questa ribellione delle atlete donne non è solo neozelandese. Particolarmente ferma è stata la protesta dell’ex olimpionica canadese di atletica, Linda Blade, che ha deciso di affrontare di petto la questione.

La Blade ha infatti inviato una lettera al Comitato Olimpico Internazionale (CIO) e all’intero popolo giapponese, spiegando i termini della questione e lanciando un accorato appello.

I giochi olimpici moderni – ha premesso l’ex olimpionica – sono stati concepiti come una celebrazione dell’eccellenza su un campo di gioco equo, dove la competizione sportiva è basata sul merito e non è influenzata dallo status sociale o dal patrimonio culturale”.

Il fatto che, nel 2015, il CIO abbia autorizzato la partecipazione degli atleti maschi alle gare femminili, “a patto che questi si autoidentifichino come donne”, è stato definito dalla Blade “scandaloso e ingiusto”.

La scienza non è alleata dei transgender

L’ex atleta riporta poi le ragioni scientifiche. “Il corpo maschile ha un enorme vantaggio su quello femminile”, che “va dal 10% al 160% a seconda dell’attività e dello sport”, spiega.

Blade è poi entrata nei dettagli: “Il corpo maschile è infatti: – dal 20 al 40% più pesante; – 30-60% più potente (soprattutto più forte nella parte superiore del corpo); –Potenza esplosiva 33% in più; – Più veloce 10-15% nella corsa; – Calci 20% più forti; – Pugni 160% più forti; – La forza di mischia (scrum) nel rugby aumenta del 40-60%; – Assorbimento massimo di ossigeno 20-40; – Lancio 20-30% più forte; – Peso 30-50% in più; – Tendini estremamente rigidi”.

Inoltre, la sopra menzionata affermazione del CIO, per cui sarebbe sufficiente che gli atleti maschi mantengano i loro livelli di testosterone sotto i 10nmol, sarebbe “palesemente falsa. “Tutti gli studi che hanno misurato la forza muscolare maschile prima e dopo la riduzione del testosterone non hanno mostrato alcuna diminuzione significativa del vantaggio”, puntualizza Blade.

Impossibile, poi, che gli uomini riescano “ridurre le dimensioni delle loro ossa e dei loro corpi per arrivare alle dimensioni delle donne”. Idem per “le dimensioni del loro cuore e dei loro polmoni per rendere la loro capacità di trasporto dell’ossigeno uguale a quella di una donna”.

“Il Giappone merita molto meglio!”

La presa di posizione del CIO, quindi, oltre a essere “assurda”, è “un insulto alle donne, allo sport e alle Olimpiadi stesse”. Non è vero nemmeno, prosegue l’ex olimpionica canadese, che il numero di atleti transgender sarebbe ridotto, in quanto, negli ultimi anni, il loro numero è “crescente” e ciò ha “privato le atlete donne di opportunità di partecipare e di vincere”.

Linda Blade chiede quindi al CIO di “fermare immediatamente questo folle consenso incondizionato alle politiche dei cosiddetti diritti transgender”. L’attuale regolamento “minaccia l’integrità delle categorie sportive olimpiche femminili, quindi serve “un attento esame, uno studio a lungo termine e un’ampia consultazione”.

Il rischio temuto da Blade è che “le Olimpiadi di Tokyo 2020 siano ridicolizzate e svergognate come il momento ‘storico’ in cui un uomo è salito sul podio olimpico che spettava a una donna”. Il popolo giapponese merita una “Olimpiade dell’integrità” e non un “primato così vergognoso”, conclude l’ex olimpionica canadese.

Luca Marcolivio

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