Ricordato soprattutto come un grande operatore di pace, san Folco Scotti, che si ricorda oggi 26 ottobre, fu un vescovo saggio e dotto.
San Folco Scotti, di cui oggi 26 ottobre è la memoria liturgica, visse nel Nord Italia dell’epoca a cavallo tra il XII e il XIII secolo. Nacque precisamente nel 1165 in un’illustre e nobile famiglia piacentina. I suoi avevano origini irlandesi.
Il cognome Scotti indicava il loro trasferimento dall’Irlanda all’Italia. Da giovane ha modo di studiare a Brescia presso la collegiata dei canonici regolari di sant’Eufemia. Si trattava della maggiore scuola di studi teologici dell’Italia settentrionale.
In quell’ambiente diventò un personaggio di rilievo: divenne prevosto e facendo vita comunitaria con i confratelli aveva il compito di amministrare i beni. Si formò come teologo dotto e saggio, sviluppò eccellenti doti di predicazione, infatti i suoi sermoni erano particolarmente incisivi e seguiti con interesse.
Santo del 26 ottobre: San Folco Scotti
Da predicatore era anche un grande apologeta e si adoperava a contrastare le eresie che circolavano in quel periodo. Indirizzava molti sermoni ai religiosi e fin dall’inizio del suo ministero si rivelò un grande operatore di pace.
Era abile a districare situazioni complicate e a sciogliere i conflitti cercando di portare al perdono e alla riappacificazione le parti in lotta. Sia fuori dalla Chiesa che all’interno era un ottimo mediatore per risolvere controversie e ristabilire l’armonia.
La sua fama di pacificatore gli valse l’appellativo di “il grande paciere” e pure il pontefice si rivolse a lui per affidargli un grande compito. In diverse circostanze il papa lo incaricava di gestire e risolvere situazioni conflittuali e la sua azione risultava efficace e vincente.
Prima priore della chiesa di sant’Eufemia della Fonte a Brescia, poi Folco Scotti fece ritorno nella sua città natale, Piacenza, dove fu nominato vescovo, dopo esser stato per un breve periodo arciprete della cattedrale.
Il vescovo che seda i litigi e placa gli animi
La sua saggezza e la sua magnanimità si manifestarono subito anche nel suo ruolo di vescovo. Si trovò a dover affrontare condizioni di grande contrasto anche quando, dopo che la sede vescovile di Pavia rimase vuota fu chiamato ad occuparla.
Doveva esser vescovo contemporaneamente di due città in conflitto tra loro, e proprio questo ruolo gli consentì di realizzare una pacificazione sostanziale e profonda. Riuscì a sedare i livori tra le famiglie nobili che si contrapponevano per motivi economici.
Dovette affrontare sfide molto ardue: non fu facile, ma con la sua grande fede e la perseveranza animata dalla carità riuscì in imprese che potevano sembrare impossibili. Se Pavia era schierata con i Guelfi, che erano fedeli al papa, Piacenza era con i Ghibellini, fedeli all’imperatore: un contrasto netto in cui lui si inserì con la forza della fede e divenne un vero e grande operatore di pace.
Sedava prima gli animi dei cittadini e poi dopo aver placato l’ira e l’odio che li attanagliava li indirizzava a compiere azioni di perdono e di pace con i nemici. Dopo aver raggiunto una pace forte e stabile tra le due città antagoniste morì mentre si trovava a Pavia, il 16 dicembre 1229.
Non è noto per cui la sua memoria liturgica sia stata fissata per il 26 ottobre e non per il giorno che ricorda il suo dies natalis, ma quel che è certo che rimase per molto tempo un modello da seguire e la fama di santità era presente già durante la sua vita.
Il culto si sviluppò fortemente in tutta la Lombardia e le sue spoglie riposano nella cattedrale di Pavia.