Oggi 17 febbraio: Beata Ascensione di San Giuseppe. Orribilmente seviziata, le sue ultime parole prima di morire

Questa religiosa dal nome particolarissimo subirà feroci torture durante la persecuzione anticattolica della guerra civile spagnola.

I suoi aguzzini, in spirito di sacrilegio, cercheranno in tutti i modi di farla bestemmiare. Ma lei si rifiuterà con tutte le sue forze e le sue ultime parole saranno l’esatto opposto della bestemmia che cercavano di strapparle.

Santi del 17 febbraio: Beata Ascensione di San Giuseppe
Beata Ascensione di San Giuseppe (17 febbraio) – photo web source

Una suora dal nome particolare

Isabel Sánchez Romero nasce il 9 maggio 1861 in Spagna. Più precisamente vede la luce a Huéscar presso Granada. Penultima di otto fratelli, cresce in una famiglia di umili condizioni dalla quale riceve però una solida formazione umana e cristiana. Entra giovane, a 23 anni, nel convento domenicano «La Consolación» di Huéscar e il 2 ottobre 1885 prende i voti religiosi.

Dopo la vestizione religiosa aggiunge al secondo nome di battesimo, Ascensión, anche l’appellativo religioso «di San Giuseppe» (de San José). Per brevità la chiamano «suor San Giuseppe».

Vive con fiducia nella Provvidenza una grave malattia

Vivrà la sua vocazione alla vira religiosa con spirito di profonda pietà, servizio e comunione. Donna dal temperamento umile e modesto, ma molto scrupoloso e zelante, vive in sincera comunione con Cristo.

Profondamente immersa nella spiritualità dell’ordine domenicano, raggiunge una grande maturità spirituale alimentata da un’intensa vita di preghiera, in particolare attraverso l’adorazione del Santissimo Sacramento e la recita del Rosario. Sopporta pazientemente e talvolta anche con gioia una grave malattia che le causa piaghe dalla testa ai piedi.

Le tribolazioni allo scoppio della guerra civile

Pochi mesi dopo lo scoppio della guerra civile spagnola le suore sono costrette a lasciare il convento della Madre di Dio, che viene saccheggiato. E’ il 4 agosto 1936: le suore trovano riparo presso familiari e benefattori. Suor San Giuseppe riceve ospitalità da parte della nipote Ascensión Reche, moglie di Alfredo Motos, a Huéscar dove la persecuzione si fa più cruenta all’inizio del febbraio 1937.

Respinge eroicamente il tentativo di farla bestemmiare

Suor San Giuseppe intensifica la sua preghiera, ma i parenti sono preoccupati per lei, temendo che presto sarebbe stata scoperta dai rivoluzionari anticattolici. Infatti il 16 febbraio irrompono in casa dei suoi familiari e la arrestano soltanto perché al collo porta un crocifisso.

La imprigionano nelle cantine del municipio, cercando di costringerla a bestemmiare. Lei in risposta recita delle brevi giaculatorie, facendo ancor più infuriare i suoi carcerieri che, incuranti delle infermità e dell’età della religiosa, ormai 76enne, la picchiano selvaggiamente lasciandola a terra, a giacere nel proprio sangue.

La ferocia degli aguzzini

Non contenti dei brutali maltrattamenti, il giorno dopo le ordinano di alzarsi. Ma accorgendosi che non ha la forza per farlo decidono di caricarla su un camion assieme ad altri prigionieri. Una volta giunti alle porte del cimitero cittadino, torturano e fucilano per primi i prigionieri, incluso Florencio, il nipote di suor San Giuseppe. Dopo tornano ad accanirsi sulla monaca.

Sono le prime ore del 17 febbraio 1937. Le ordinano di nuovo di bestemmiare, e lei di nuovo rifiuta di farlo. A quel punto i carnefici, inferociti, le spingono la testa contro una pietra, mentre con un’altra pietra gliela fracassano. Mentre soccombe alla ferocia dei suoi assassini, senza perdere la fiducia nella Provvidenza esclama: «Viva Cristo Re!».

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