Pastore zelante e buono, don Francesco Bonifacio viene martirizzato dai comunisti titini in odio alla fede, a Dio e alla Chiesa.
Una storia di martirio e fedeltà avvenuta nel tormentato periodo del Secondo dopoguerra tra il Friuli e l’Istria.
Francesco Bonifacio nasce a Pirano (Istria) il 7 settembre 1912, è il secondo di sette tra fratelli e sorelle. Venuto al mondo in una famiglia di umili origini, fin dall’infanzia sente di essere chiamato al sacerdozio. Segue la vocazione entrando nel Seminario di Capodistria nel 1924. L’ordinazione sacerdotale avviene nella Cattedrale di San Giusto il 27 dicembre 1936.
Dopo il primo breve incarico nella stessa Pirano diventa vicario parrocchiale a Cittanova. Poi nel 1939 è curato nella Curazia di Villa Gardossi, che conta diverse frazioni o casolari sparsi tra Buie e Grisignana.
Nel periodo tormentato che segue l’8 settembre 1943, la popolazione istriana, stretta tra l’incudine degli occupanti tedeschi e il martello del fronte di liberazione comunista di Tito, conosce momenti di grande difficoltà.
Un pastore con l’odore delle pecore
Don Bonifacio si impegna più che può per aiutare tutti. Promuove diverse attività, visita le famiglie e gli infermi. Quel poco che ha lo dà a i poveri. Durante l’occupazione nazifascista interviene più di una volta per scongiurare le sanguinose rappresaglie, per far seppellire le vittime (di qualunque fazione politica), nascondere i ricercati, difendere persone e cose.
In quegli anni turbolenti che vedono succedersi l’occupazione slava a quella tedesca, don Bonifacio cerca di aggirare i continui ostacoli frapposti dai comunisti titini interessandosi solo dell’apostolato.
Arriva perfino, per evitare le accuse di fare propaganda politica, a fare catechismo con le porte della chiesa aperte, così che tutti potessero sentire di cosa si parlava.
Gli anni della persecuzione antireligiosa dei comunisti
Dopo la “liberazione” slava, negli anni dell’amministrazione jugoslava, e fino al 1948, la guerra nei territori italiani si tramuta in una vera e propria persecuzione antireligiosa. Il culmine viene raggiunto con l’aggressione del Vescovo di Trieste monsignor Antonio Santin, ferito gravemente a Capodistria nel 1946, e l’uccisione di don Miro Bulešić a Lanischie nel 1947.
Anche don Bonifacio finisce nel mirino per la sua fedeltà al sacerdozio e per il suo essere pastore d’anime. A renderlo particolarmente indigesto agli occhi dei comunisti è la popolarità di cui gode presso la popolazione, soprattutto l’ascendente che ha sui giovani. Considerato un prete scomodo, un ostacolo alla diffusione dell’ideologia comunista e dell’ateismo di stato, comincia a subire vessazioni di ogni genere. Prima si vede tagliare le corde delle campane, poi circondare di delatori. Anche i fedeli subiscono intimidazioni. Infine minacciano pure lui, diffidandolo dal girare per la parrocchia.
Don Bonifacio comincia a pensare seriamente alla possibilità del martirio. Nell’estate del 1946 confida a un confratello: «Bisogna essere prudenti perché quelli possono essere nascosti anche fra i cespugli ai lati della strada. Devo stare molto attento perché mi stanno spiando».
Scomparso nel nulla
La sera dell’11 settembre 1946, il sacerdote sta rientrando a casa dopo essersi recato a Grisignana per la confessione. Lungo la strada, nei pressi di Radani, alcune guardie popolari lo avvicinano e lo portano via nel bosco.
Di lui non si saprà più nulla. Nella sua Storia dei preti uccisi dai partigiani, il giornalista Roberto Beretta parla di un regista teatrale che avrebbe ottenuto notizie sulla fine del cappellano pagando una delle guardie popolari che lo avevano arrestato con le accuse di essere un «fascista» e «nazionalista italiano». Secondo le informazioni, Don Bonifacio sarebbe stato caricato su un’auto, poi spogliato e preso a sassate in faccia. In ultimo finito con due coltellate alla gola. Il suo corpo sarebbe stato gettato in una foiba vicina.
Ucciso in “odium fidei”
Il 3 luglio 2008 papa Benedetto XVI promulga il decreto della Congregazione delle Cause dei Santi che definisce la sua morte come un martirio.
La Chiesa riconosce dunque che l‘assassinio di don Francesco Bonifacio è avvenuto in odium fidei, in odio alla fede, a Dio e alla Chiesa. Il 4 ottobre dello stesso anno viene proclamato beato.