Mistico e Dottore della Chiesa, san Giovanni d’Avila fu amico di grandi santi come santa Teresa e sant’Ignazio di Loyola.
Oggi, 10 maggio, la Chiesa ricorda la figura di san Giovanni d’Avila, mistico del XVI secolo. Il Martirologio Romano lo ricorda come presbitero e Dottore della Chiesa e specifica che “percorse tutta la regione andalusa, in Spagna, predicando Cristo“.
Aggiunge anche che “sospettato ingiustamente di eresia, fu gettato in carcere, dove scrisse la parte più importante della sua dottrina spirituale“. Nato il 6 gennaio 1499 nei pressi di Toledo, ad Almodovar del Campo proveniva da una famiglia di ebrei convertiti al cristianesimo.
Inizia a studiare molto giovane, quando a 14 anni si trasferisce a Salamanca a fare studi di diritto. Poi però vive un periodo di crisi spirituale che lo porta all’isolamento per 3 anni. Matura la vocazione al sacerdozio e va ad Alcalá de Henaresa dove studia all’università oltre che teologia anche arti.
Quando a 25 anni diventa sacerdote inizia una missione di predicazione. Nonostante volesse andare ad evangelizzare terre lontane rimane in Spagna, convinto dai suoi confratelli. Così predica nelle sue zone e viene definito “l’apostolo dell’Andalusia“.
La sua predicazione genera molte conversioni: arriva al cuore di gente di tutti i tipi, semplici e potenti. Anche il vicerè di Castiglia Carlo V, quando lo sente pronunciare l’omelia per la morte della regina del Portogallo, Isabella, si converte e lascia il potere per farsi gesuita.
Molto importanti nella sua vita sono le amicizie con due grandi santi della Chiesa. Si tratta di sant’Ignazio di Loyola a cui indirizza molti dei suoi discepoli. E poi la grande santa Teresa d’Avila di cui diviene direttore spirituale e a cui dà il suo sostegno nell’opera di riforma del Carmelo.
San Giovanni d’Avila deve affrontare anche molte avversità: nel 1531 finì in carcere per un’ingiusta accusa di eresia, da cui fu pienamente assolto due anni più tardi. Durante questo periodo di prigionia scrive la sua opera più importante, Audi, filia.
In quella prova avviene in lui una profonda crescita spirituale che gli fa comprendere “Quali tesori nascosti ci elargisce Dio nelle prove, dalle quali il mondo pensa solo a fuggire“, come ha modo di dire. Ricordava, infatti, che “Cristo ci dice che se noi desideriamo unirci a Lui, dobbiamo camminare sulla strada che Egli ha percorso“.
Dopo esser stato scagionato dalle accuse ha avuto modo di continuare la sua predicazione in grandi ed importanti città della Spagna come Cordova, Granada e Siviglia.
I suoi contemporanei lo chiamavano “Padre Maestro“. Era una guida spirituale sicura per persone delle più diverse estrazioni: a lui si rivolgevano in tanti e ne traevano enormi benefici. Scrive anche un’opera importante, l’ Epistolario spirituale tra tutti gli stati.
Tra le attitivà che svolgeva, non è da dimenticare che ha fondato diversi collegi minori e maggiori, e che prosegue instancabilmente il suo ministero fino alla tarda età e anche in precarie condizioni di salute. Influisce con due Memoriali sul Concilio di Trento a cui non può prendere parte di persona perchè ormai era molto malato.
Nel 1554 si ritira nei dintorni di Cordova e lì trascorre i suoi ultimi anni. Muore il 10 maggio 1569. La beatificazione arriva nel 1894 e la canonizzazione nel 1970.
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