A volte l’apprensione dei genitori nei confronti dei propri figli è il problema principale della loro formazione. Altre volte il problema è rappresentato dalla poca voglia di essere genitori, quella voglia che ci ha permesso, durante la nostra fase di crescita, di formarci come esseri adulti responsabili e indipendenti. L’esempio ideale per individuare questo problema è il contesto scolastico e la recente ondata di diagnosi di disturbo dell’attenzione, dislessia e disgrafia che ne conseguono.
Mettiamo in chiaro che non si vuole negare che simili problematiche esistano, ma sottolineare come da quando sono state scoperte e riscontrate si tenda il più delle volte ad abusarne come scusa per il cattivo andamento di un bambino. I primi a commettere l’errore sono gli insegnanti, i quali, senza la minima competenza, suggeriscono ai genitori che possa esserci un simile problema. L’errore secondario (solo in ordine di tempo, perché umanamente è l’errore principale) è commesso dai genitori che prendono per oro colato le parole degli insegnanti e sottopongono i loro figli a test che li fanno sentire inadatti. Il terzo errore è commesso dai medici che invece di seguire la deontologia, in alcuni casi diagnosticano un problema non presente pur di rimpolpare il loro portafoglio.
La denuncia su questo cerchio della sfiducia è stata mossa anche dalla dottoressa Cristofari (esperta di malattie cognitive e scrittrice), la quale si dice indignata dalla facilità con cui questi disturbi vengono diagnosticati. La causa di ciò viene individuata dalla dottoressa nell’andamento frenetico dei tempi moderni: “Viviamo in una società molto superficiale, dove i tempi frenetici e la poca pazienza che abbiamo nei confronti dei nostri bambini e delle nostre bambine, ci spingono a conclusioni affrettate sulle loro potenzialità e capacità cognitive, purché ci sollevino dall’incombenza di seguirli negli studi”.
Nell’osservare molti dei suoi pazienti, la dottoressa si è resa conto che i bambini arrivano nel suo studio completamente svuotati, privi di fiducia e sogni per il futuro, una condizione che non può essere data dalla dislessia o da un disturbo cognitivo: “Nel 99% dei casi, il bambino o la bambina non ha niente, recuperando nel giro di un anno scolastico tutte le carenze!”. L’osservazione di questo andamento ha portato la Cristofari a chiedersi se i genitori si soffermino a parlare ed ascoltare i figli se si chiedano cosa provano, come li fa sentire essere sottoposti a queste cure non necessarie.
La risposta a queste domande la da la stessa specialista: “Pensano di essere inferiori, di essere diversi, stupidi, non capaci come i loro compagni di classe. E la loro psiche lentamente cambia e diventa brutta. Perdono la loro autostima, diventano tristi, paurosi e a scuola non rendono più, non si sentono capaci e si convincono di non riuscire negli studi; dentro di loro si domandano perché devono continuare a studiare; perché devono andare a scuola, a cosa serve… perché la scuola non brucia!”.
La parte finale di questa denuncia è un invito ai genitori a prestare attenzione ai propri figli a cambiare questo andazzo di disinteresse e sfiducia: “Quasi sempre il problema scolastico ha le sue profonde radici nel rapporto umano. Allora non distruggiamo la mente e la vitalità dei nostri figli, abbiate il coraggio e l’umiltà di valutare il vostro rapporto, di considerare quello che la maestra ha con vostro figlio o vostra figlia, prima ancora di intraprendere un percorso diagnostico, che in quanto tale, nella mente del bambino, riporta sempre e comunque a una malattia e quindi a una diversità dai compagni di scuola. Ricordandovi inoltre che oggi, quella che viene comunemente definita dislessia, il più delle volte è un abuso di terminologia e medicalizzazione su bambini sanissimi per questione di business”.
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