E’ accaduto circa due anni fa a Glasgow, in Scozia.
Asad Shah, un musulmano di 40 anni di origini pakistane, sposato e proprietario di un negozio, è stato brutalmente assassinato.
Scriveva infatti sulla sua pagina facebook, poco prima di morire: “Buona Pasqua, specialmente alla mia amata nazione cristiana … seguiamo le orme dell’amato Gesù Cristo e portiamole al successo in entrambi i mondi”. Un augurio di speranza che gli è costato caro e che invece faceva presagire una certa apertura mentale, nell’accettazione delle diversità culturali e religiose, presenti su questo strambo pianeta.
Proprio per questo il suo connazionale, Tanveer Ahmed, ha deciso di accoltellarlo.
E’ il caso di un musulmano, ucciso da un altro musulmano estremista. Questo dovrebbe dare la misura di come, certi invasati, cerchino di affermarsi come giustizieri e detentori di una religione inesistente, che viene trasformata in un pretesto, per una giustizia personale (come nel caso di Ahmed) o di circostanza, come nel caso delle guerre in corso, per spartirsi molti territori: quelli con più giacimenti petroliferi, guarda caso.
L’assassino proviene da Bradford, una città inglese con il 25% della popolazione musulmana, già conosciuta per la tragedia della famiglia di Nissar Hussain, un cristiano pakistano convertitosi dall’islam, perseguitato, per questo, da ben 15 lunghi anni e ridotto in fin di vita, dopo un’aggressione, nel 2015.
La moglie di Shah, che ora cerca di non farsi trovare per paura di altre ripercussioni, è stata sostenuta dai britannici, con una donazione raccolta tramite internet, di oltre 100.000 sterline.
Lei ha perso una persona cara, il proprio amato marito, e nessuno potrà mai restituirglielo. Facciamo in modo, almeno, che questa tragedia metta in luce la verità: l’appello, perché si combatta l’estremismo islamico, stavolta arriva da una moschea, segno che i folli estremisti non appartengono a nessun popolo o sana religione.
Antonella Sanicanti
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