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Muore un ragazzo di 17 anni in modo tragico, ma quello che accade dopo è ancora più triste

“Morto un terrone, sono felice.” Così titolava un articolo, di poco più di un anno fa, che faceva riferimento all’incedente di un ragazzino siracusano di soli 17 anni e ai conseguenti insulti di un torinese di 40 che, su Facebook, esprimeva la sua non curanza per una giovane vita, perduta per sempre.

Stefano Pulvirenti era rimasto vittima di un incidente, in cui furono coinvolti, alle 08:00 del 29 Ottobre 2015, un’auto, un furgone, un fuoristrada e il suo motorino. Finito tra il marciapiede e le ruote del fuoristrada, il ragazzo non aveva avuto scampo.

Siracusa tutta lo pianse; allora, come oggi, molti si unirono al dolore immenso dei familiari straziati e inconsolabili.

La sensibilità di ognuno può percepire il dramma di quei momenti, ma non la mentalità di tutti, evidentemente.

Non di coloro che disprezzano incondizionatamente, mossi dall’ignoranza (dal volere ignorare le altrui condizioni) e da un odio inspiegabile nei confronti del prossimo, da una totale mancanza di compassione ed empatia, che non permette nemmeno di supporre che, quella situazione, poteva accadere a chiunque e non sarebbe stata meno dolorosa o meno grave, se Stefano fosse nato al nord Italia o nel profondo Sud del continente nero.

Incomprensibile questo per il cittadino piemontese che scriveva (tra l’altro da un falso profilo, non certo per vergognarsi di se stesso, quanto per sfuggire alle autorità): “Sono felicissimo, un terrone in meno da mantenere.”. “ … quando vedo queste immagini e so che nella bara c’è un terrone ignorante, godo tantissimo: peccato che ero al Nord, (…). Buonasera terroni merdosi. Non è morto nessun altro di voi oggi?”.

Invece dei puntini sospensivi, c’erano dei termini che è poco edificante anche solo riportare. Quell’uomo senza pietà fu identificato dal Nucleo Investigativo Telematico (NIT) e denunciato per diffamazione, aggravata da finalità di odio razziale. Chi si occupò dell’inchiesta sottolineò: “Fra le varie forme di povertà, la povertà morale è quella che rischia di mettere a maggiore rischio la dimensione umana.”.

Questa vicenda dimostra, tristemente, che non abbiamo bisogno di truppe terroristiche, di estremisti di altri credi o di guru di qualche stravagante spiritualità, per odiarci ed esprimere tutto il nostro egoismo: ce la facciamo benissimo anche da soli, ad essere disumani e senza cuore. Allora la domanda è ma questo mondo che ci stiamo costruendo senza Dio dove ci porterà, e soprattutto se non amo il mio fratello che vedo come posso amare Dio che non vedo? Preghiamo per questo mondo alla deriva 

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