Morandi spiegava chiaramente che la salsedine e altri fattori avrebbero presto messo a rischio il ponte, in un documento intitolato: “Il comportamento a lungo termine dei viadotti sottoposti a traffico pesante situati in ambiente aggressivo”.
“La struttura viene aggredita dai venti marini (il mare dista un chilometro) che sono canalizzati nella valle attraversata dal viadotto. Si crea così un’atmosfera, ad alta salinità che per di più, sulla sua strada prima di raggiungere la struttura, si mescola con i fumi dei camini dell’acciaieria (il vecchio stabilimento Ilva, ndr) e si satura di vapori altamente nocivi”.
E se l’epilogo, accaduto il 14 Agosto scorso, si preannunciava circa 40 anni fa, il dolore per le vittime del crollo diventa davvero insostenibile, come a dire che era solo questione di tempo e qualcuno, sotto il ponte di Genova, sarebbe certamente morto.
“Le superfici esterne delle strutture, ma soprattutto quelle esposte verso il mare e quindi più direttamente attaccate dai fumi acidi dei camini, iniziano a mostrare fenomeni di aggressione di origine chimica”.
Già all’epoca del rapporto di Morandi, c’era la “perdita di resistenza superficiale del calcestruzzo”.
A questo punto della storia, è inutile che si ripeta quanto siano stati negligenti coloro che avrebbero dovuto “sistemare” quel viadotto. Non c’è nemmeno bisogno di un’indagine per trovare i colpevoli e per essere certi di come siano andate le cose.
In ogni caso, nulla conforterà i familiari delle vittime, nemmeno conoscere quei nomi.
Antonella Sanicanti
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