Mito del calcio si racconta | Dall’oratorio a San Siro e un prete per fratello

Uno dei più grandi calciatori italiani di sempre è diventato tale non solo grazie alle sue capacità, ma anche grazie al contesto in cui è cresciuto che gli ha permesso di portare avanti una fede e una vita cristiana che lo hanno sempre sostenuto. 

Tanto che suo fratello, con cui è molto legato, ha intrapreso una strada parallela a lui, che invece di portarlo sui campi di calcio lo ha guidato verso quelli del Signore.

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Il calciatore Demetrio Albertini per i tifosi del Milan, ma anche per quelli della nazionale italiana e per tutti gli appassionati del calcio, è un vero e proprio mito, capace di lasciare un segno indelebile nella storia italiana di questo sport.

L’avventura cristiana di un grande campione

Albertini, uno dei migliori centrocampisti di sempre, è stato vicecampione del mondo nel 1994 e vicecampione d’Europa nel 2000 con la Nazionale. La sua carriera è saldamente legata al Milan, dove ha giocato per 13 stagioni conquistando cinque scudetti e tre Champions League.

Oggi Albertini è anche l’attuale presidente del settore tecnico della Figc, ma i più ignorano la sua storia adolescenziale, la sua formazione e alcuni aspetti della sua vita che hanno a che fare con la fede cristiana.

La sua avventura sportiva infatti iniziò non in un grande club blasonato ma nel suo piccolo oratorio. Tanto che il suo fratello maggiore, Alessio, oggi è un sacerdote, don Alessio Albertini, sacerdote della diocesi di Milano e dal 2012 assistente ecclesiastico nazionale del Csi.

Il legame con suo fratello, don Alessio Albertini

“Con don Alessio siamo stati accomunati da una sorte simile”, racconta. “Siamo andati via di casa quasi insieme e molto presto, e il caso volle che il suo seminario fosse molto vicino a Milanello, dove io mi allenavo e vivevo. Per questo ci vedevamo abbastanza spesso e condividevamo anche il nostro guardare insieme alla famiglia d’origine, che per noi è sempre rimasta la stella polare. Questo sentire comune ha avvicinato i nostri due percorsi, così atipici, se ci pensi, rispetto a quelli della maggior parte dei ragazzi”.

Gli anni dell’oratorio hanno formato il giovane Demetrio non come un campione, ma come un cristiano, e per questo oggi suo fratello Alessio si impegna nell’invitare gli allenatori e le squadre sportive e fare proprio questo. Ad educare, prima che piccoli campioni, dei grandi uomini. 

Un tempo che oggi lo stesso ex campione del Milan ricorda come “meravigliosi”. “In quell’epoca ero abituato a giocare per strada e all’oratorio vedere due pali, una traversa e la rete per me era come essere a San Siro”, racconta il campione al Sir. Da quando è entrato in oratorio, a quattro anni, ci è restato fino a quando iniziò a giocare da professionista.

I suoi ricordi negli anni importanti dell’oratorio

“Quando ero piccolo facevamo moltissimi derby contro i paesi vicini, e poi le sfide che nascevano a scuola, in un paese di 1200 abitanti”, racconta, citando un episodio che gli rimase impresso ma legato a quando era già grande. “Nel 1994, quando avevo 22 anni, tornai a casa dopo tre giorni dalla finale mondiale di Pasadena. Trovai ad aspettarmi tutto il paese in festa e il giorno dopo, proprio all’oratorio, abbiamo organizzato una partita tra quelli della mia classe (1971) contro il resto del paese. Si era sparsa la voce e c’erano quasi cinquemila persone…”.

Oltre a suo fratello, infatti, ci sono altri due sacerdoti che Demetrio ricorda con particolare affetto. “Ricordo sempre con nostalgia don Costante, il sacerdote dell’oratorio che mi ha visto crescere. E poi c’è don Antonio, il prete che ha accompagnato fino al matrimonio”, spiega.

Del periodo dell’oratorio Albertini si portò dietro qualcosa di molto importante. “Mi sono portato certamente l’educazione, il rispetto e la passione. Sono state proprio queste cose ad aiutarmi a rimanere una persona equilibrata, anche quando è arrivato il successo”, spiega. “Un ruolo determinante, però, l’ha avuto certamente la mia famiglia d’origine”.

L’importanza della famiglia che lo ha aiutato a camminare nella fede

Una famiglia che lo aiutato innanzitutto a camminare nella fede, e poi ad affrontare al meglio le sfide del mondo, tra cui quelle che ha affrontato nei più grandi campi da calcio del mondo. “Ho avuto una famiglia cattolica, ma soprattutto molto unita. Mio padre era solo un muratore, mia madre una casalinga, ma a noi tre figli, Alessio, me e Gabriele, non hanno mai fatto mancare nulla. Ci hanno permesso sempre di assecondare le nostre naturali inclinazioni, di coltivare i nostri talenti. Ovviamente senza mai trascurare lo studio, che era sempre al primo posto”.

Un vero e proprio esempio di dedizione per la famiglia, come tante altre famiglie italiane ma con uno stile che oggi sembra essere purtroppo sempre più raro. “Posso solo ringraziarli per la loro dedizione e il loro rigore perché, se sono quello che sono oggi, è proprio grazie alla capacità di sacrificarmi che mi hanno trasmesso”. 

Oggi Demetrio ha una famiglia con certamente più agi rispetto a quella avuta da lui, ma non per questo più semplice, anzi. “Bisogna esserci, essere presenti specialmente nei momenti chiave della loro vita”, spiega. “Essere presente nella vita dei figli è la cosa più importante che ho ricevuto dai miei genitori e che oggi, insieme a mia moglie, cerco di restituire”.

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L’educazione dei giovani e il bisogno di ricordarsi dei sacrifici necessari

Mentre invece per quanto riguarda l’educazione dei giovani sui campi da gioco, per Albertini, che ha avuto anche una parentesi impegnato in prima persona anche nella formazione dei ragazzi, attraverso la scuola-calcio, il rischio è quello di volere arrivare subito ad ottenere risultati senza passare per la fatica che questi richiedono. 

“C’è una frase pronunciata da Giovanni Paolo II nel Giubileo del 2000 che ho sempre portato con me”, racconta: “Lo sport ci insegna che per raggiungere degli obiettivi ci vuole un percorso di fatica e di impegno; non si può avere tutto e subito”. Mentre “forse oggi il rischio che corrono le nuove generazioni è quello di voler bruciare le tappe, magari con un colpo di fortuna. E invece non è così: senza sacrifici e impegno non si va da nessuna parte”

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