Messa in latino: decisione epocale di Papa Francesco

Il rito pre-conciliare dovrà ora essere autorizzato dai vescovi, come è avvenuto fino al 2007.

Per taluni è una doccia fredda. Per la Santa Sede è un atto di prudenza finalizzato a non acuire le divisioni nella Chiesa.

I poteri tornano ai vescovi

Dopo quattordici anni, è andato “in soffitta” il motu proprio Sommorum Pontificum, con cui papa Benedetto XVI liberalizzava la messa c.d. “pre-conciliare”.

La decisione restrittiva presa dal suo successore comporta il ritorno allo status quo ante 2007, con l’obiettivo di prevenire ogni forma di strumentalizzazione e di settarismo. Il potere nel “concedere” la celebrazione in latino sarà così nuovamente rimessa alla discrezione dei singoli vescovi.

Nel motu proprio Traditionis custodes, papa Francesco stabilisce in primo luogo che “i libri liturgici promulgati dai santi Pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II, in conformità ai decreti del Concilio Vaticano II, sono l’unica espressione della lex orandi del Rito Romano”.

Sarà così competenza esclusiva del vescovo l’autorizzazione a celebrare con il Missale Romanum del 1962 promulgato da San Giovanni XXIII, ultimo in latino, prima che, alla fine dello stesso decennio, San Paolo VI autorizzasse per la prima volta la celebrazione nelle lingue nazionali.

In primo luogo, il vescovo dovrà accertare che coloro che celebrano con il messale preconciliare “non escludano la validità e la legittimità della riforma liturgica, dei dettati del Concilio Vaticano II e del Magistero dei Sommi Pontefici”.

Il rito in latino, inoltre, non potrà essere celebrato nelle parrocchie ma soltanto nei luoghi e nei giorni stabiliti dal vescovo, il quale dovrà avere cura di “non autorizzare la costituzione di nuovi gruppi”.

Per converso, i preti che saranno ordinati dopo la pubblicazione di Traditionis custodes, nel caso vogliano celebrare con il vetus ordo, dovranno “inoltrare formale richiesta al Vescovo diocesano il quale prima di concedere l’autorizzazione consulterà la Sede Apostolica”. Parimenti, coloro che già celebrano dovranno chiedere l’autorizzazione al solo vescovo.

Una decisione sofferta, presa in nome dell’unità della Chiesa

Nella lettera d’accompagnamento al nuovo Motu Proprio, il Santo Padre spiega le ragioni del suo ‘impopolare’ provvedimento. In primo luogo, Bergoglio premette che le decisioni dei suoi predecessori sul messale antico erano “dalla volontà di favorire la ricomposizione dello scisma con il movimento guidato da Mons. Lefebvre”.

Questa facoltà è stata tuttavia interpretata da molti come “la possibilità di usare liberamente il Messale Romano promulgato da san Pio V, determinando un uso parallelo al Messale Romano promulgato da san Paolo VI”.

Se è vero che, nel 2007, Benedetto XVI aveva ‘sdoganato’ la liturgia preconciliare, nella convinzione che “le due forme dell’uso del Rito Romano avrebbero potuto arricchirsi a vicenda”, nei quattordici anni successivi sono insorti dei problemi che hanno indotto Francesco a fare marcia indietro.

Si è così determinata “una situazione che mi addolora e mi preoccupa, confermandomi nella necessità di intervenire”, scrive il Papa. Il desiderio di unità, spiega, è stato “gravemente disatteso e le concessioni al vecchio rito sono state usate “per aumentare le distanze, indurire le differenze, costruire contrapposizioni che feriscono la Chiesa e ne frenano il cammino, esponendola al rischio di divisioni”.

“Uso strumentale della liturgia”

Pur non negando che gli abusi avvengono anche da parte di chi celebra nel rito conciliare, Francesco si “rattrista” per l’“uso strumentale del Missale Romanum del 1962”, accompagnato da “un rifiuto crescente non solo della riforma liturgica, ma del Concilio Vaticano II”.

Pertanto, rincara la dose il Pontefice, dubitare del Concilio “significa dubitare delle intenzioni stesse dei Padri, i quali hanno esercitato la loro potestà collegiale in modo solenne cum Petro et sub Petro nel Concilio ecumenico, e, in ultima analisi, dubitare dello stesso Spirito Santo che guida la Chiesa”.

Un tale comportamento, prosegue il Papa, “contraddice la comunione, alimentando quella spinta alla divisione… contro cui ha reagito fermamente l’Apostolo Paolo. È per difendere l’unità del Corpo di Cristo che mi vedo costretto a revocare la facoltà concessa dai miei Predecessori”.

A sostegno della sua decisione, il Santo Padre richiama l’attenzione sul fatto che, “dopo il Concilio di Trento, anche san Pio V abrogò tutti i riti che non potessero vantare una comprovata antichità, stabilendo per tutta la Chiesa latina un unico Missale Romanum”. Una decisione che Pio V prese “svolgendo una funzione di unificazione nella Chiesa”.

Al tempo stesso, San Paolo VI “dichiarò che la revisione del Messale Romano, condotta alla luce delle più antiche fonti liturgiche, aveva come scopo di permettere alla Chiesa di elevare, nella varietà delle lingue, «una sola e identica preghiera» che esprimesse la sua unità”. Ed è proprio “questa unità” che papa Francesco intende “sia ristabilita in tutta la Chiesa di Rito Romano.

Luca Marcolivio

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