Pelagio Visentin, liturgista Benedettino, ci ha spiegato, in un suo scritto, che l’atto penitenziale non è sempre stato come lo intendiamo oggi.
L’atto penitenziale non si è sempre espresso attraverso il Sacramento della Confessione, ma si è evoluto “da una celebrazione pubblica ad una celebrazione privata; da una riconciliazione con la Chiesa, concessa una sola volta, ad una celebrazione frequente del Sacramento, intesa come aiuto-rimedio nella vita del penitente; da una espiazione, previa all’assoluzione, prolungata e rigorosa, ad una soddisfazione, successiva all’assoluzione”.
Inizialmente, pertanto, il Mercoledì delle Ceneri era ritenuto il giorno della celebrazione pubblica della penitenza. I fedeli cominciavano un periodo di penitenza e di autentica conversione che avrebbe portano alla loro completa assoluzione solo il Giovedì Santo.
Oggi e per questo motivo, in questo giorno solenne, ogni celebrante, imponendo le mani sui fedeli, ricorda che proveniamo dalla polvere e che polvere un giorno torneremo ad essere.
“Perché mai si insuperbisce chi è terra e cenere? Anche da vivo le sue viscere sono ripugnanti”, dice il Libro del Siracide, al Capitolo 10, versetto 9. E Giobbe ci ricorda, al Capitolo 30, versetto 19: “Mi ha gettato nel fango: son diventato polvere e cenere”.
Nel primo Mercoledì di Quaresima, così, con l’imposizione delle ceneri, si sostituisce l’atto penitenziale della Santa Messa. Si svolge dopo l’omelia ed esprime il nostro impegno a vivere questo tempo di preparazione alla Santa Pasqua con la giusta intenzione, per superare le pressioni del mondo e giungere alla salvezza eterna.
Antonella Sanicanti
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