Meno rischio di depressione e suicidio per chi va a Messa

 

 

Un recente studio sociologico effettuato dai ricercatori della Scuola di Salute Pubblica T.H. Chan dell’Università di Harvard su un campione di 89.708 donne, dimostrerebbe che chi segue almeno una volta a settimana una funzione religiosa corre meno rischi di commettere un suicidio.

Lo studio è durato 14 anni (le persone soggette alla ricerca sono state osservate dal 1996 al 2010) ed è stato pubblicato lo scorso 29 giugno in seguito ai dati forniti dal ministero della salute pubblica che attestano un aumento considerevole dei suicidi dal 1994 al 2014. Da questi dati risulta che a commettere suicidio sono sopratutto gli uomini ma che il numero di donne che si toglie la vita è aumentato dell’80% negli ultimi 20 anni.

La maggiore incidenza di suicidi nelle persone non credenti è data dallo scetticismo riguardo ad una vita dopo la morte, i credenti, infatti, puntano all’aldilà e il suicidio è visto (almeno per i cristiani) come un peccato mortale che conduce ad un eternità di sofferenza all’inferno. Si tratta quindi della paura della dannazione eterna? Secondo i ricercatori di Harvard i dati sul suicidio sono collegati anche a questo, ma non solo: un impegno costante in comunità da speranza, aiutare il prossimo permette alle persone di sentirsi utili ed allontana la depressione, inoltre, vivere la propria spiritualità all’interno di un gruppo da un senso di collegialità che aiuta a non chiudersi in se stessi.

Il Professor Tyler Vander Weele, docente di epidemiologia ad Harvard conferma quanto affermato nella ricerca: “Tra i benefici, la partecipazione ai servizi religiosi aumenta il sostegno sociale, diminuisce la depressione e aiuta le persone a sviluppare una prospettiva più ottimista nella vita”. Nella ricerca, infatti, viene dimostrato che chi ha una frequenza costante nell’andare a messa ha una possibilità di cinque volte inferiore di cadere in depressione e ricorre al suicidio. I risultati, però, non vanno presi alla lettera, tra i fattori studiati gli studiosi non hanno considerato quelli emotivi, un grosso shock ad esempio potrebbe causare un’azione impulsiva sia in chi crede che in chi invece è ateo.

Ciò non toglie che lo studio sia molto apprezzato anche in campo scientifico e che ci siano molti studiosi che sostengono che alla medicina tradizionale dovrebbe essere affiancato anche un percorso spirituale. A tal proposito si è espresso il dottore Aaron Kheriaty, professore associato di psichiatria all’Università di Irvine (California), che ha dichiarato: “Convinzioni e pratiche religiose possono aiutare le persone a promuovere un senso di speranza anche in mezzo a grandi crisi o avversità”, ed ha aggiunto “Solo quando integriamo le scoperte legittime della psicologia moderna e della farmacologia con la direzione spirituale e i sacramenti, prestando particolare attenzione alla saggezza dei Padri della Chiesa e dei santi”.

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