Verso la fine dell’ottavo secolo la Madonna di Vezzolano guarì Carlo Magno dopo un’apparizione demoniaca, per mezzo di un’eremita che lo invitò a pregare.
Mentre Carlo Magno avanzata su Torino, dopo avere sconfitto il re longobardo Desiderio alle Chiuse di Susa e presso Pavia, aveva assediato Pavia e occupato diverse città del Piemonte, tra cui anche Torino.
Un giorno vide tre scheletri uscire dalla tomba e venirgli incontro. La visione era terrificante. In quel momento stava affrontando una battuta di caccia nelle campagne di Albugnano, e questo lo spaventò a morte. Ma la visione tuttavia svanì presto, ma Carlo Magno ne rimase fortemente scosso.
Così decise di rivolgersi a un eremita per avere delucidazioni su quanto era accaduto. Il religioso gli spiegò il significato di quell’apparizione, e da lì colse l’occasione per illustrargli in cosa consisteva la vanità delle cose umane. Anche Carlo Magno infatti, gli spiegò il religioso, sarebbe certamente diventato come quegli scheletri un giorno.
Di conseguenza esortò il re a domandare alla Madonna di essere guarito nel proprio cuore e anche dall’epilessia, di cui soffriva. Carlo Magno seguì il consiglio del sacerdote e ben presto venne sanato dal suo male.
In conseguenza di questo fatto, fece costruire l’Abbazia di Vezzolano intitolandola alla Madonna di Vezzolano, e ponendo accanto ad essa un monastero. Oggi l’Abbazia di Vezzolano rappresenta uno dei più insigni e bei monumenti di tutto il Monferrato. La vicenda di Carlo Magno viene ancora oggi rappresentata in antico affresco che si trova nel chiostro dell’Abbazia.
Nella rappresentazione c’è una scena che si chiama “contrasto dei tre vivi e dei tre morti”. In questa ci sono tre re o tre principi su bellissimi cavalli che, impugnando falconi in pugno e fiancheggiati dai loro cani, vanno a caccia. Ma si vede che in un luogo solitario incontrano San Macario che li porta a visionare tre tombe scoperchiate.
Su una di quelle tre tombe c’è cadavere appena sepolto, nella seconda uno in dissoluzione e nella terza uno scheletro. I morti si sollevano dalle tombe e si mostrano ai cavalieri, che rimangono terrorizzati. San Macario nella scena tiene in mano una scritta, dove è indicata un’ammozione rivolta ai principi e ai loro fasti.
L’invito è a riflettere sulla caducità della grandezza terrena e quindi a fare penitenza.
Giovanni Bernardi
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