La Madonna della Vetrana di Castellana Grotte liberò la città pugliese di Castellana Grotte dal terribile male che la stava affliggendo.
Per ringraziare la Madonna della liberazione dalla peste del 1690 la popolazione di di Castellana Grotte ristrutturò la chiesa che custodiva l’icona trecentesca della Madonna della Vetrana. Il termine vetrana è un vocabolo dialettale che si usa per indicare la peste.
Intorno alla fine dell’anno 1690 la chiesa di Castellana era quasi in rovina. A un certo punto un morbo turbò la cittadina e tutta l’area intorno ad essa. Si disse che il morbo proveniva da un carico di merci infetto attraccato nel porto di Monopoli. Di fatto, una terribile epidemia di peste si diffuse nel territorio a sud-est di Bari. Le carenti condizioni igienici furono poi certamente complici di tale dramma che decimò violentemente la popolazione.
La peste arrivò il 23 dicembre 1690, ma nella notte tra l’11 ed il 12 gennaio 1691 la situazione mutò radicalmente. In quella occasione due sacerdoti, don Giuseppe Gaetano Lanera e don Giosafat Pinto, pregarono in maniera incessante chiedendo alla Madonna della Vetrana di liberare la popolazione dalla peste.
La Madonna della Vetrana era ritratta in un quadro risalente al 1300 circa, posizionato all’interno di una chiesetta di campagna, non lontano dal centro abitato di Castellana. I due religiosi decisero di ungere i bubboni dei malati con l’olio del lume che ardeva perennemente accanto al quadro raffigurante la Madonna. Lo fecero, e diedero anche fuoco a tutto ciò che era stato in contatto con il morbo
A partire da quel giorno, nella cittadina di Castellana nessuno morì più a causa della peste. Tutti riconobbero fin da subito l’intercessione miracolosa della Madonna della Vetrana. Presto la sua venerazione crebbe con grande intensità, e da allora ogni anno ricorrono i festeggiamenti di questi grandioso evento.
Il giorno della rivelazione, l’11 gennaio, rimase così sempre nel cuore di tutta la popolazione, in particolare grazie alla festa della Fanove, ovvero dei falò. In quella notte, infatti, tutta la regione si trasforma grazie al calore e alle luci dei molti falò accesi attraverso cataste di legna ben disposte, a forma di cono e fatti bruciare fino alla mattina del 12.
Francesco Gnagni
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