Negli ambiti in cui si cerca di diffondere la cultura della morte, regna sovrana, puntualmente, la confusione, la migliore arma che il male possiede, per portare a se le deboli menti.
Sulla pagina web dell’UNICEF, in risposta alla lettera di una lettrice, leggiamo: “L’UNICEF non sostiene e non ha mai sostenuto in passato, né tanto meno promosso, in alcun modo, pratiche abortiste. In tema di pianificazione familiare, ci tengo a dirle che non rientra nei compiti dell’UNICEF suggerire o promuovere la scelta di specifici metodi, che possono competere solo alla libera (e informata) scelta degli individui, in conformità con i loro valori sociali, religiosi e culturali, operando sempre nel rispetto supremo delle legislazioni nazionali e delle norme che riguardano questa ed altre materie”.
Ma la notizia che molte organizzazioni nazionali e umanitarie, sotto sotto, non si oppongano alla cultura della morte, alla diffusione delle pratiche abortive, come alle leggi che le promuovono, si sta facendo spazio, tra coloro che seguono da vicino le vicende che riguardano l’instabilità sociale, la povertà, la mal nutrizione dei popoli, l’alta mortalità per malattie comuni, che toccano, ancora oggi, molti Paesi del pianeta.
Tuttavia, se di organizzazione per l’infanzia si tratta, non si può pensare che l’aborto debba diventare lecito, pur di proteggere le neo mamme, o che i bambini da tutelare siano solo quelli già nati.
In effetti, ora, in quei Paesi, l’aborto viene giustificato solo nel caso serva a salvare la madre o se frutto di una violenza, ma si parla anche di campagne per indirizzare all’uso di contraccettivi, anche gli adolescenti.
Molti additano l’UNICEF come responsabile di una campagna pro life, ma solo per i bambini che hanno già una certa età.
Antonella Sanicanti
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