Un semplice like può trasformarsi in un peccato da confessare

Anche un like a un post violento e non cristiano sui social può essere considerato un peccato.

Lo ha affermato il vescovo di Frosinone-Veroli-Ferentino monsignor Ambrogio Spreafico, durante l’omelia per il Mercoledì delle Ceneri, e subito ha avuto una grande risonanza tra i fedeli e non solo.

Un gesto superficiale che può nascere un grande male

Si tratta di un gesto che in maniera superficiale ognuno di noi può compiere spesso quando naviga in rete e sui social. Quello di approvare con un “mi piace”, un insulto, una cattiveria, una menzogna. O, aggiungiamo noi, ancora peggio quando ne diventiamo noi stessi i propagatori.

“Per noi cristiani è un peccato che va riconosciuto e confessato”, ha affermato con certezza monsignor Spreafico, pubblicando la sua tesi anche sul portale della sua diocesi. Con anche il notevole riscontro che l’affermazione ha avuto su tutti i media. Un fatto cioè che ha catturato l’attenzione e la curiosità della rete e dei fedeli, ma resta ora da capire nella pratica quanto tutto ciò abbia un vero seguito.

Il vescovo di Frosinone-Veroli-Ferentino monsignor Ambrogio Spreafico – sourceweb

L’esortazione del vescovo al bene sul web

L’affermazione del vescovo, nata come inciso all’interno di un’omelia, puntava semplicemente ad esortare i fedeli a non condividere il male ma il bene, anche attraverso i social. Di farlo nello spirito indicato dal Vangelo, con umiltà e senza esibizione di sé.m Un aspetto, quello dell’ambiente digitale in cui si vive e si scrive, che chiama in causa quelle che ormai sono le abitudini quotidiane di ciascuno, quindi anche dei fedeli.

Un atteggiamento umano che non riguarda soltanto il sacramento della riconciliazione ma anche la buona educazione a cui tutti siamo tenuti nella vita, in quanto anche nel web ci vogliono regole e moralità. C’è una maniera buona di stare sui social e un’altra meno buona, e questo è ormai evidente a tutti, specialmente a chi fa esperienza di denigrazioni, insulti, offese e parolacce sui propri canali social.

I troppi post violenti e denigratori e i like da confessare

Infatti gran parte dei commenti e dei post spesso vengono indirizzati alla denigrazione dell’altro piuttosto che al dialogo e alla comprensione, e tutto questo va esattamente nella maniera opposta rispetto a quanto ci trasmettono gli insegnamenti cristiani sulla moralità pubblica. E sul modo di relazionarci con il prossimo, che sia anche il peggior nemico.

Nel Vangelo di Marco infatti (5 – 43, 48), Gesù dice: “Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste”.

La responsabilità di stare in rete e i nostri like

Nel web tutto questo si traduce nella responsabilità da assumersi nel momento in cui pubblichiamo un contenuto, che siano immagini, frasi, commenti o post presi da altri siti. Persino un like o un’emoticon. “Capiamo l’invito del Vangelo a non fare le cose per essere ammirati, apprezzati e riconosciuti dagli altri. Non è detto che tutto ciò che è condiviso e apprezzato sia sempre il bene. Basta vedere quanto facilmente si condividono sui social giudizi e parole sprezzanti, insulti, cattiverie”, ha così affermato Spreafico.

“Soprattutto online è facile condividere con facilità frasi, giudizi, prese di posizione, senza riflettere. Quel clic con il nostro ditino con cui scriviamo il nostro like non sempre esprime umanità, cioè ciò che dovremmo essere tutti, al di là delle legittime differenze di opinioni e di giudizi, che fanno la ricchezza di una società in dialogo continuo”, ha spiegato Spreafico. Riferendosi anche ai casi di maggiore tragicità, in cui la rete diventa l’amplificatore di una violenza sociale che può anche portare alla depressione, e addirittura al suicidio, le persone più fragili e maggiormente attaccate.

(Websource/Archivio)

Anche un like può essere condivisione del male

“Un semplice clic può significare di condividere il male, perché un insulto detto a voce o scritto è comunque male, fa male e chi lo condivide è complice del male e di un atto di mancanza di umanità, anzi moltiplica il male e lo rende ancora più pesante. Mi viene in mente quanto dice Gesù nel discorso della montagna: Chi dice al fratello ‘stupido’, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice ‘pazzo’ sarà destinato al fuoco della Geenna.

Sono parole chiare che mettono in guardia da un linguaggio violento, e da chi lo condivide, da cui nascono tante inimicizie, divisioni, esclusioni, guerricciole che non fanno il bene di nessuno, non solo dei cristiani. Gesù addirittura le considera causa di quell’inimicizia che può portare fino all’eliminazione dell’altro”, ha commentato il religioso.

La guerra verbale nasce dal cuore

“Le guerre anche solo verbali nascono infatti nel cuore, nei sentimenti, nei pensieri, e vanno riconosciute come pericolose. Sono convinto che oggi dovrebbe essere il tempo in cui condividere un linguaggio più umano, cortese, non cattivo”, ha continuato Spreafico. “Ne abbiamo bisogno tutti. Ciò non significa che dobbiamo essere d’accordo su tutto. Le differenze sono una ricchezza, ma devono essere condivise con la pazienza del dialogo, dell’incontro, della pacifica discussione. La rete è una grande opportunità e va utilizzata per costruire e non per eliminare l’altro”.

Confessione perdono

Quindi anche quel “mi piace” messo al post sbagliato, che sia un insulto, una cattiveria, una falsità, per un cristiano diventa un peccato che va riconosciuto e confessato. “Elemosina, preghiera e digiuno sono le scelte che ci accompagneranno in questo tempo per condividere il bene e non il male, la bontà e non la cattiveria, per vivere nell’umiltà e non nella prepotenza dei gesti e delle parole”.

Giovanni Bernardi

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