Appena un mese dopo il ricovero il team sanitario che si occupava del caso ha diagnosticato l’irreversibilità del coma e comunicato alla famiglia l’intenzione di cessare il trattamento medico. Come nei casi più famosi di Charlie Guard e Alfie Evans, i genitori della ragazza si sono opposti fermamente alla decisione dei medici coinvolgendo i tribunali, ma, come nei casi sopra citati, anche in questo le loro richieste non sono state ascoltate.
Dopo il lungo braccio di ferro giuridico vinto dall’ospedale francese, i medici hanno comunicato ai genitori di Ines che i macchinari sarebbero stati staccati martedì 19 giugno. Quel giorno i genitori hanno fatto di tutto per impedire che la procedura venisse portata a termine e la tensione all’interno del reparto era tale da costringere i medici a chiamare la polizia per poter concludere l’operazione. Alla fine i medici hanno potuto staccare i macchinari e Ines è sopravvissuta altre 40 ore respirando con i propri polmoni. Adesso i genitori dell’adolescente si sono chiusi in un silenzio contemplativo necessario all’elaborazione del lutto, ma il loro grido d’aiuto “Ines è nostra figlia e non dei medici” continua a riecheggiare. Ancora una volta viene da chiedersi, infatti, se sia corretto che i medici prendano decisioni così importanti al posto dei familiari basandosi sulla legittimità di non consentire l’accanimento terapeutico, evenienza che si presenta solamente quando non ci sono alternative alla morte del paziente.
Luca Scapatello
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