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La sofferenza può essere tramutata in gioia

 

Il tema della sofferenza, del male che quotidianamente viene subito ed accettato con estrema fede da ogni cristiano è forse il più ricorrente. L’accettazione della duplice interpretazione del male (facente parte della creazione di Dio, ma portata dall’uomo attraverso la propria arbitrarietà) è forse il compito più arduo a cui ogni fedele si è sottoposto e si  deve sottoporre, non c’è nessuno, infatti, nemmeno il più santo che non si sia posto il dilemma sul male, a tal proposito sembra ad uopo citare le parole di Santa Teresina: “Cristo ha riconosciuto la volontà del Padre dietro la mano dei carnefici che lo inchiodavano alla croce; dobbiamo anche noi riconoscere e adorare la volontà del Padre dietro la cattiva volontà degli uomini che così spesso ci crocifigge?”.

 

Se la domanda rimane ricorrente è anche perché la risposta della dottrina rimane sfuggente, nemmeno i teologi hanno ben chiaro in mente cosa ci sia dietro il mistero del Male e lo trattano con estrema cautela. Con la consueta prudenza ha provato a rispondere a questo quesito Don Antonio Rizzolo sulle pagine di ‘Famiglia Cristiana’: il sacerdote premette che la tematica è tra le più convulse e contraddittorie dell’intera dottrina e poi fornisce una spiegazione in linea con gli insegnamenti della catechesi: “Qual è la causa della sofferenza? Da una parte c’è il limite della nostra natura umana, la fragilità della creazione; dall’altra il peccato, che porta nel mondo ingiustizia, violenza, soprusi. In ultima analisi tutto proviene da Dio, perché grazie a lui il mondo creato continua a esistere. Tuttavia, egli non vuole il male, la malattia, la morte, ma permette che ci siano per rispetto della nostra libertà”.

 

In breve l’origine del male proviene dalla nostra fragilità e dalla fragilità della terra, il che presuppone che si sia di base una predisposizione ad essere soggetti al patimento, tralasciati i problemi insiti alla caducità di questo mondo “Temporaneo”, il resto come la corruzione, la violenza, le guerre ed i soprusi sono opera dell’uomo e del peccato che li governa (ovvero opera del  Diavolo). La misericordia di Dio gli fa provare dolore per la nostra condizione, ma Esso non interviene per lasciarci la libertà di sbagliare, ci ha dunque abbandonato a sofferenza e patimenti?

 

Ovviamente no, in un periodo in cui l’essere umano era al culmine della violenza e della sopraffazione ha mandato suo figlio per insegnarci quale fosse il percorso da intraprende per vivere in serenità gli uni con gli altri e giungere alla fine di questa vita all’eterna beatitudine. La venuta del messia rappresenta la volontà di Dio di salvarci, ma anche quella di sperimentare i patimenti e le sofferenze dell’essere umano in prima persona per dimostrarci come sopportarli e trarne giovamento nell’aldilà e come poterci supportare l’un l’altro nei momenti di difficoltà. Con questo suo estremo atto, Gesù ha tramutato la sofferenza in Amore e la Croce da strumento di martirio a strumento di salvezza.

 

La nostra salvezza non è stata data dal sacrificio in croce ma dall’esempio di amore,  risulta evidente come così anche le nostre sofferenze possono assumere un significato: se i patimenti vengono trasformati in amore come ha fatto Cristo coltiviamo il suo messaggio, lo tramandiamo agli altri, pensate a ciò che Paolo scriveva: “Sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne”, con questo atteggiamento si accetta Cristo nella sua vera essenza.

 

Tornando al quesito originale, dopo questa rilettura risulta chiaro che le sofferenze sono un obolo da sopportare nella vita terrena, sull’esempio di Cristo, per tramutarle in amore verso gli altri e poter essere degni di Dio.

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