Come si possono accettare la sofferenza e la croce?

Credo possa spaventare tanto il sentire che un buon cristiano debba essere colui che, come il suo Maestro Gesù Cristo, sopporti in silenzio le maggiori sofferenze, senza nemmeno potersi -anche solo a parole- ribellarsi o indignarsi.
Beh, questa è una mezza verità, quella che si racconta quando non si conosce il senso reale della cristianità.
L’errore più comune proviene dal concentrarsi -come la società vuole- sulla valenza di questa vita terrena, che vorremmo perfettamente appagante e realizza, priva di impedimenti che ostacolino la buona riuscita dei nostri intenti.

La malattia, le ingiustizie, i disagi economici non ci dovrebbero toccare, secondo questa filosofia, se la vita potesse essere davvero degna di essere vissuta e apprezzata.
Dimentichiamo che siamo esseri cagionevoli e non possiamo certo disporre di poteri sovrannaturali, per spianare le nostre vie e rendere i progetti sempre raggiungibili.
Il modello che propone la società è, dunque, molto meno realistico di ciò che qualcuno vorrebbe farci pensare.
In effetti, siamo esseri vulnerabili e mortali, in balia delle situazioni politico-economico-sociale-ambientali che ogni epoca presenta. Per questo, faremmo meglio ad abituarci a nuotare in un mare in tempesta, allenandoci a superare ogni difficoltà, a trarre il buono anche da ciò che ci è avverso, spesso incomprensibile e affatto desiderato.
Come riuscirci?

Il significato della croce

Suor Faustina descrive così una delle sue visioni: “Vidi Gesù inchiodato sulla croce. Dopo che Gesù era rimasto appeso per un momento, vidi una schiera di anime crocifisse come Gesù. E vidi una terza schiera di anime e una seconda schiera di anime. La seconda schiera non era inchiodata sulla croce, ma quelle ani¬me tenevano saldamente la croce in mano. La terza schiera di anime invece non era né crocifissa, né teneva la croce in mano, ma quelle anime tra¬scinavano la croce dietro di sé ed e¬rano insoddisfatte”.
In quell’occasione, Gesù le aveva rivelato, per spiegarle meglio la visione: “Vedi quelle anime, che sono simili a Me anche nella sofferenza e nel disprezzo: le stesse saranno simili a Me anche nella gloria. E quelle che assomigliano meno a Me nella sofferenza e nel disprezzo: le stesse assomiglieranno meno a Me anche nella gloria”.
La risposta alla domanda, allora, potrebbe essere: se vuoi essere un cristiano, comportati come farebbe Cristo, che non si spaventò per la richiesta del Padre di farlo sacrificare in Croce, perché sapeva che quel prezzo altissimo, avrebbe contribuito alla realizzazione di un disegno più ampio.

Gesù

Gesù non si tirò indietro, né si ribellò, sapeva, infatti, che non siamo di questo mondo, se non momentaneamente.
Ricordiamo, ogni tanto, che la condanna a cui fu esposto Gesù Cristo, additato come un sobillatore del popolo e un bestemmiatore, era la più cruenta che si potesse immaginare, all’epoca.
Gesù, dopo il processo davanti a Pilato e la condanna del popolo inferocito, fu caricato del patibolo, il legno orizzontale della croce, del peso di circa 30 kg.
Gli fu legato sulle spalle, a braccia tese, mentre altre funi gli bloccavano le caviglie, unendolo alla stessa sorte degli altri condannati a morte -quel giorno due, per prevenire ogni ribellione o tentativo di fuga.
Così, cominciò il cammino verso il Golgota, il luogo dove sarebbe stato giustiziato. Sotto il peso del patibolo, le forze lo abbandonavano, cadeva con la faccia e le ginocchia in terra, sopra i sassi della strada che traversava, senza neanche potersi riparare il viso con le mani.
Arrivato al luogo stabilito, due grossi chiodi, sotto i colpi spietati dei soldati, gli bucarono i polsi, fissandolo al legno.
In quello stato -appeso per i polsi- lo tirarono su, con una carrucola, per issarlo sul legno verticale della croce, già piantato in terra. Immaginate quale terribile sofferenza gli fu inferta in quel momento!
In quella posizione, un uomo muore dopo 6 minuti, perché non si riesce più ad espirare e i polmoni si riempiono di anidride carbonica.

Nemmeno questo fu concesso a Gesù, poiché subito un altro chiodo gli trapassò i piedi e su quello doveva far forza per risollevarsi e respirare, respirare ancora, nelle successive tre ore della sua agonia.
Ecco l’esempio del nostro Dio/uomo. Cosa allora dovrebbe spaventarci di questo mondo, se non la paura si soccombere nella sofferenza, che, in ogni caso, passerà?
Nel discorso della montagna, Gesù aveva detto: “Beati gli afflitti, perché saranno consolati. (…)
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. (…) Beati i perseguitati a causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia.
Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli”.
Questo ci conforti e ci dia forza, per comprendere e render meno vano il dolore di cui la nostra vita terrena è intrisa.

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