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La confessione non ci deve far paura.

Andare a confessarsi è difficile per tutti. Il 28 e il 29 marzo scorso si è svolta per la prima volta in tutto il mondo,  l’iniziativa “24 Ore per il Signore” con lo scopo di avvicinare i fedeli al sacramento della riconciliazione. Ogni sacramento scaturisce direttamente dalla Pasqua di Cristo, dalla sua passione, dalla sua morte e dalla sua risurrezione, ma forse nessun sacramento è capace di farci percepire non solo il senso, ma anche “la sensazione” della vita nuova come quello del perdono. Quando, infatti, troviamo la forza di consegnare al Padre, in Gesù, attraverso il ministero del sacerdote ciò che siamo, il nostro cuore, per opera dello Spirito Santo, si libera, e noi ci sentiamo nuovi, risorti. Due aspetti rendono straordinariamente essenziale questa esperienza nella vita cristiana. Innanzitutto, il fatto che il perdono dei peccati commessi non è qualcosa che l’uomo possa darsi da solo. Nessuno può dire: “Io mi perdono i miei peccati!”.

Il perdono si chiede a un altro. Così “il perdono – ha spiegato Papa Francesco – non è frutto dei nostri sforzi, ma è un regalo, è un dono dello Spirito Santo, che ci ricolma del lavacro di misericordia e di grazia che sgorga incessantemente dal cuore spalancato del Cristo crocifisso”. Un’esperienza di pace e riconciliazione personale che però, proprio perché vissuta nella Chiesa, assume un valore sociale e comunitario. I peccati di ciascuno di noi sono anche contro i fratelli, contro la Chiesa. Come ogni gesto di bene produce bene, così ogni gesto di male alimenta il male. Per questo è necessario chiedere perdono anche ai fratelli e non solo individualmente.

Nella confessione la dimensione verticale del perdono produce dentro di noi e attorno a noi un’apertura orizzontale di pace che si allarga ai fratelli, alla Chiesa, al mondo fino alle persone a cui, con fatica, forse non riusciremo mai a chiedere perdono. La difficoltà ad accostarsi alla confessione risiede spesso nella necessità di dover ricorrere alla mediazione di un altro uomo: “Perché non posso confessarmi direttamente con Dio?”. Certamente questo sarebbe più facile. Eppure in quell’incontro personale con il ministro della Chiesa si esprime il desiderio di Gesù di incontrare ognuno personalmente. Gesù vuol vedere proprio me e, a me personalmente, rivolgere le parole: “Ti assolvo dai tuoi peccati”. Il loro ascolto emana una grazia risanatrice e solleva dal peso del peccato. “Nella celebrazione di questo sacramento – ha detto ancora il Papa – il sacerdote non rappresenta soltanto Dio, ma tutta la comunità, che si riconosce nella fragilità di ognuno, che ascolta commossa il suo pentimento, che si riconcilia con lui, che lo rincuora e lo accompagna nel cammino di conversione”. A volte, però, la vergogna nel dire i peccati commessi è grande. Il Papa incoraggia: “Anche la vergogna è buona, è salutare”. La vergogna fa bene perché rende più umili. “Non avere paura della Confessione!” dice Francesco. Una paura da vincere oggi. Adesso. La Quaresima è certamente il tempo più opportuno per questo coraggio, il tempo di fare spazio all’amore del Signore che ci cerca, perché nel suo perdono, possiamo ritrovare noi stessi e Lui.

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