Io omosessuale andrò al Family Day.

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E’ un romanziere milanese Giorgio Ponte, omosessuale, e attento al dibattito sulle unioni civili. Per lui il Ddl Cirinnà non deve proprio passare, “già oggi il cosiddetto affido in prova è di fatto una prassi per qualsiasi bambino resti senza genitori” e non è d’accordo “sul fatto che dire che due uomini non possono crescere un bambino sia omofobo”. Attraverso IntelligoNews fa anche un appello agli omosessuali perché vadano al Family Day: “Facciano sentire la loro voce”.

Giorgio, domanda secca: parteciperà al Family Day?

“Sì, assolutamente. Ci vado con alcuni amici delle Sentinelle e della Manif. Per quanto le adesioni siano numerosissime, la mia presenza è significativa come quella di tutti: una sola goccia può far traboccare il vaso in senso positivo. È importante che ci siamo tutti”.

Farebbe un appello agli omosessuali che non accettano il ddl Cirinnà per scendere in campo con lei il 30 gennaio?

Giorgio Ponte, scrittore omosessuale: ‘Sarò al Family Day e non il solo: facciamo sentire la nostra voce'”Io da quando sono uscito allo scoperto, ho lavorato su due fronti. Uno all’interno della Chiesa e uno all’esterno. La battaglia del 30 gennaio, la questione delle unioni civili, è molto più universale di quanto possa non apparire quella all’interno della Chiesa per chi vuole vivere in un cammino di castità. Infatti, a prescindere da quale sia la propria condizione di vita, da ciò che si vuol fare nel privato, ci sono cose che possono essere riconosciute da tutti indipendentemente dal credo, dalle scelte personali, dal colore politico. Io conosco tante persone che sono atee e vivono col proprio compagno o hanno anche una vita abbastanza libertina e che tuttavia sono del tutto contrarie a questo disegno di legge e alle derive che può avere. Il mio appello è proprio di responsabilizzarsi. Philippe Ariño dice che “oggi il mondo è ai piedi degli omosessuali” ed è vero: noi abbiamo il potere di far licenziare le persone, di creare class action, di buttare gente fuori dai consigli di amministrazione solo per una parola detta male. Se le persone omosessuali che vogliono difendere la famiglia e soprattutto la verità dell’essere umano nel suo binomio maschile-femminile, si rendessero conto del potere che hanno nelle mani, il loro peso nel prendere posizione e uscire allo scoperto potrebbe essere decisivo per il momento storico che stiamo vivendo. Noi possiamo fare la differenza. Noi tutti, insieme, siamo chiamati a farla.

La piazza del Family Day è contro gli omosessuali? Mancuso attende di vedere quali cartelli e slogan saranno mostrati.

“Oggi qualsiasi cosa non rispetti la dottrina gay è omofoba. Quindi dire che non sono d’accordo sul fatto che due uomini possano crescere un bambino è omofobo. Ma in realtà è ben altro. Dire che non sono d’accordo con una scelta non vuol dire che io odi o non riconosca la dignità di persona umana di chi quella scelta la compie. Questa manifestazione non è contro gli omosessuali, per questo è importante che gli omosessuali che ci saranno, e ce ne saranno tanti, in qualche modo facciano sentire la loro voce. La nostra presenza smonta questo pregiudizio. Qua non si discute sulle scelte personali di nessuno. Si può andare a letto con chi si vuole, comprare casa con chi si vuole, condividere la vita con chi si vuole, persino amare chi si vuole, e questo già lo si può fare. Ma da qui a volere ribaltare l’essenza della persona umana riducendola al suo desiderio, e arrivando a dire che due uomini o due donne sono nella sostanza intercambiabili e atti a concepire, questo è un altro discorso. La manifestazione non è contro gli omosessuali, ma in difesa della famiglia naturale, fatta da uomo e donna che portano avanti la vita insieme. Ci sono molti modi di dare la vita in senso lato, ma uno solo è peculiare dell’unione di maschile e femminile. La generatività e la fecondità per chi ha tendenze omosessuali, così come per chi è single d’altra parte, non può manifestarsi in una genitorialità intesa come quella propria e peculiare della famiglia. Noi siamo chiamati a dare la vita come padri e madri sempre, per coloro che abbiamo attorno a noi. Mentre un bambino per crescere bene, ha bisogno di avere garantite dallo Stato almeno le condizioni minime cui ha diritto e che sono evidenti poiché inscritte nel suo concepimento: che possa conoscere le sue radici e che sia cresciuto da un padre e da una madre”.

Perchè la stepchild o l’affido rafforzato o l’adozione in prova non possono essere accettati neanche dai gay?

“Molte persone dicono che le unioni civili vanno bene, ma non le adozioni. Ma i politici in primis sanno che se viene approvata una legge a metà, oggi c’è una sentenza della Corte Europea che stabilisce che se gli Stati membri decidono di concedere un riconoscimento legale alle unioni tra persone dello stesso sesso devono garantire tutti gli stessi diritti del matrimonio. Perciò qualsiasi legge a metà, a prescindere da quale sia la gradazione di questa via di mezzo, nel momento in cui venisse approvata sarebbe impugnabile davanti alla Corte Europea e a quel punto lo Stato sarebbe costretto a trasformare quella legge in un matrimonio gay a tutti gli effetti, con anche la possibilità di procreare. Attraverso i metodi artificiali che ben conosciamo. Per questo oggi non si può approvare nessun disegno di legge orientato in tal senso, nemmeno parzialmente: chi sta guidando questa battaglia per i presunti diritti lo sa, mira a quell’obiettivo e adesso ha le carte in Europa per arrivarci. In questo senso i compromessi che si stanno proponendo sono tutti dei camuffamenti. Già con la stepchild adoption. Il punto è: se io ho un figlio dal mio precedente matrimonio, questo figlio ha già una madre quindi non c’è bisogno che il mio compagno lo adotti. Nel caso in cui la madre fosse morta, già oggi il giudice stabilisce l’affidatario del bambino in base a chi ha avuto la maggiore continuità affettiva. Dunque già oggi il cosiddetto affido in prova è di fatto una prassi e non serve una legge apposita. Ciò significa che la legge riguarda nella sostanza solo i casi di figli nati da inseminazione artificiale o utero in affitto, dove uno dei genitori biologici (e entrambi) non sono presenti. E questo tipo di pratica non può essere appoggiata da una legge dello Stato”.

A quale riconoscimento tiene di più? Se non a quello di vedere sancito ufficialmente un rapporto, qual è per te il riconoscimento che vale la pena di avere?

“L’unico riconoscimento che mi interessa è quello di essere umano, di uomo. A me interessa da parte del mondo gay che si capisca che noi non siamo definiti dal nostro desiderio, ma che c’è una natura profonda, una verità sul nostro corpo e la nostra storia che non può essere cancellata o ignorata. Dall’altra parte mi piacerebbe molto che all’interno della Chiesa si capisca che le persone omosessuali non sono una categoria a parte, ma che sono prima di tutto uomini e donne che hanno una situazione particolare, ma come ogni altro uomo o donna ha la propria, e che essi possono camminare all’interno della comunità come tutti, con le loro fatiche e le loro peculiarità, senza doversi sentirsi né colpevolizzati né santificati per esse. In altre parole vorrei essere riconosciuto come parte integrante della società e della Chiesa non in quanto razza protetta, né da additare né da proteggere, ma in quanto essere umano come tutti gli altri”.

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AUTORE / MARTA MORICONI

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