Immunità di gregge: la concreta speranza prima del previsto?

Una buona notizia sul fronte coronavirus: l’immunità di gregge cos’è e perché potrebbe essere molto più vicina di quanto si immagini.

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L’ipotesi arriva da un articolo pubblicato sulla rivista Nature Reviews Immunology dagli esperti del Center for Infectious Disease and Vaccine Research presso La Jolla Institute for Immunology. Nel testo viene spiegato che molto persone potrebbero avere raggiunto in maniera automatica e persino inconsapevole un significativo grado di protezione dal coronavirus.

Lo studio che lascia ampi margini di speranza

Le cellule immunitarie di buona parte delle popolazione potrebbero cioè essere in grado di riconoscere il coronavirus. Facendo in modo che la persona abbia un vantaggio considerevole nel combattere il rischio di contrarre l’infezione dal tanto temuto virus. Pur senza essere stata personalmente a contatto con il Covid-19.

Lo studioso Alessandro Sette del Center for Infectious Disease and Vaccine Research ha infatti spiegato all’agenzia Agi i risultati della sorprendente ricerca. “Quello che abbiamo scoperto è che circa il 50 percento dei soggetti che non sembravano essere stati esposti al virus presentava una certa reattività delle cellule T”, ha affermato.

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Foto Claudio Furlan – LaPresse

Molti pazienti presentavano già immunità al virus

Si tratterebbe cioè di quelle particolari cellule l’organismo produce dopo avere contratto un’infezione da coronavirus, in modo da riconoscere quello stesso agente patogeno in futuro e quindi di attuare uno scudo protettivo. 

Lo studio è stato effettuato dal gruppi di lavoro che hanno confrontato tra di loro campioni di sangue appartenenti a pazienti affetti dal coronavirus, ma prelevati tra il 2015 e il 2018. L’idea degli scienziati è che i pazienti che non fossero stati esposti al virus, ma il risultato sorprendente è stato che circa metà di loro presentava già la reattività al contagio.

C’è una predisposizione del sistema immunitario al coronavirus?

Lo studio perciò giungerebbe così alla conclusione che potrebbe esserci, per una percentuale significativa della popolazione, una predisposizione all’immunità. E al momento ci sono altre ricerche, effettuate in laboratori dislocati in aree molto distanti del pianeta, che sembrano confermare questa ipotesi.

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Lo scienziato ha poi aggiunto che “una possibile spiegazione è che questo riconoscimento da parte delle cellule T potrebbe essere dovuto in parte all’esposizione di uno dei quattro coronavirus circolanti noti, causano il raffreddore comune in milioni di persone ogni anno. Si tratta di un dibattito ancora aperto, stiamo lavorando per avere risposte”.

Il ruolo delle cellule T nella maggiore efficienza immunitaria

Tuttavia, il risultato dell’analisi non è definitivo, ma ha ancora bisogno di ulteriori studi e approfondimenti. Ma la sintesi di quanto emerso lascia ben sperare per il futuro di questa terribile pandemia che sta mettendo in ginocchio gran parte dei Paesi dell’interno pianeta.

“Non sappiamo ancora se il riconoscimento da parte delle cellule T sia positivo o meno, ma pensiamo che sia ragionevole ipotizzare che possa portare a una maggiore efficienza del sistema immunitario”, ha aggiunto una collega di Sette, Shane Crotty. La sostanza è che anche se l’immunità non dovesse essere totale, potrebbe comunque portare a uno sviluppo meno significativo dei sintomi.

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Un’ipotesi che non sorprende il direttore del Dipartimento di Microbiologia molecolare e immunologia della Johns Hopkins School of Public Health, Arturo Casadevall. Perché se tutti i coronavirus presentano tra loro un certo grado di correlazione, ogni anno ne nascono nuovi ceppi. Di conseguenza, le stesse cellule T hanno già imparato a reagire più che bene con queste famiglie di virus.

“Quello che è fondamentale scoprire riguarda gli effetti di questa reattività”, spiega Casadevall. Tra le variabili che inciderebbero sulla differenza degli effetti da persona a persona, la propria storia immunologica. In cui è compreso l’intero trascorso sanitario del paziente. Insomma, malattie, infezioni, vaccini, disturbi patologici. Sono tutti fattori che inevitabilmente influenzano la propria risposta immunitaria.

Il ruolo attenuante delle cellule T, che rendono l’infezione asintomatica

“Tra le poche cose che abbiamo scoperto di COVID-19 è che le problematiche più serie derivano dalla risposta immunitaria, la cosiddetta tempesta di citochine”, è una delle questioni sollevate da Casadevall. “Per cui non sappiamo ancora se la reattività delle cellule T sia da considerarsi positivamente o meno, e neanche se sia la stessa per ogni individuo”.

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I dati restano perciò ancora a uno stadio preliminare, e finora la convinzione è che la risposta dipenda dal sistema immunitario innato, e non da queste famigerate cellule T. Che tuttavia potrebbero avere il ruolo di attenuante nei confronti della malattia, ad esempio rendendo le infezioni asintomatiche.

L’immunità di gregge potrebbe arrivare prima del previsto?

Un dato che fa pensare agli esperti che la cosiddetta immunità di gregge potrebbe arrivare molto prima di quanto si pensi. “Se buona parte della popolazione presenta già un livello interessante di immunità sarà necessario raggiungere una percentuale di contagio molto ridotta“, ha infine spiegato John Ioannidis, docente di Medicina, epidemiologia e salute presso la Stanford University.

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“In altre parole, se esiste un’immunità di gregge, essa muterà in base alla velocità con cui il virus si diffonde attraverso diverse comunità e popolazioni”.

Giovanni Bernardi

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