Il Settimo comandamento: Non rubare che cosa implica?

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Il settimo comandamento rientra in quei precetti indispensabili per avere la vita eterna. Si legge nel Vangelo di Matteo: “Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti: non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, onora il padre e la madre, ama il prossimo tuo come te stesso” (Mt 19,17-19).

Il comandamento di non rubare è fondato su un principio che scende nell’intimo: “Non desiderare la casa del tuo prossimo… né alcuna delle cose sue” (Es. 20,17). Si tratta di una legge spirituale, che mira all’anima, sorgente dei pensieri e dei propositi. Secondo la frase del Signore: “Dal cuore partono i cattivi pensieri, gli omicidi, gli adulteri le fornicazioni, i furti, le false testimonianze” (Mt.15,19). La giustizia deve essere, amata vissuta nell’intimo del cuore, perché sia poi vissuta anche nelle opere. Occorre amare la giustizia per essere giusti. Il comportamento usuale di questo tempo autorizza ad approfittare dell’ingenuità, debolezza, distrazione del prossimo per imbrogliarlo, al solo scopo del massimo guadagno economico.

Il rubare è propriamente un impossessarsi delle proprietà altrui contro la ragionevole volontà del padrone ed è un’offesa alla giustizia e ancor più alla carità. Il settimo comandamento proibisce di prendere o di tenere ingiustamente i beni e di arrecare danno al prossimo nei suoi beni in qualsiasi modo.

Il furto si può perpetrare in molti modi. Quello per eccellenza è la rapina, ma ci sono anche altre forme meno comuni come non osservare pienamente i contratti, le convenzioni, gli obblighi professionali, sia con frode o per negligenza, sia per imperizia. Particolarmente facile è la tentazione quando si tratta di contratti commerciali, compra-vendite, locazioni, o di contratti professionali come per esempio quelli per cure mediche o di avvocati.

Commettono furto anche quelli che carpiscono denaro con parole finte e simulate, o con falsa mendicità; anzi il peccato di costoro è più grave, perché aggiungono al furto la menzogna. Anche quelli che non danno la mercede dovuta agli operai sono rapinatori e San Giacomo li invita alla penitenza con queste parole: “Piangete, o ricchi, ululando sulle sciagure che vi piangeranno addosso” (Gc 5,1).

Il furto non è solo di cose, di denaro, di proprietà, di lavoro. Esso può anche riguardare il pensiero, la libertà, il cuore, la fede, la pace, l’amore. Così è furto levare l’onore a un uomo, la dignità a una donna, la tranquillità a un familiare, la fede a un credente, l’innocenza a un bambino, la paternità o la maternità a un nato, la speranza a un anziano, la moglie a un marito, l’affetto a un bisognoso.

Il pentimento implica la restituzione del mal tolto ed è l’unica garanzia del perdono di Dio. Non soltanto chi ha commesso il furto deve restituire il maltolto a chi ha derubato, ma anche tutti coloro che hanno partecipato al furto sono obbligati alla restituzione. Chi potendo restituire il mal tolto non ridà, non può illudersi di essere perdonato del male fatto e di ottenere il perdono divino della sua colpa.

“Chi rubava, ormai non rubi più; piuttosto lavori operando con le proprie mani quel che è buono, per avere di che dare il necessario a chi soffre” (Ef 4,2-8). Esclama il profeta Amos: “Ascoltate, voi che calpestate il povero e fate perire i miseri della terra dicendo: Quando passerà il mese e venderemo le mercanzie? Allora potremo diminuire la misura, aumentare il siclo e usare stadere ingannevoli” (Am 8,4-5).

Se abbiamo fatto un male a qualcuno, Dio ci ordina di riparare come possiamo al danno arrecato e di non farlo più (Gv 8,11). In questo modo otteniamo perdono dal Signore, perché c’è vero pentimento solo quando c’è buon proponimento. Così fece anche Zaccheo: “Se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto” (Lc 19,8).

“Non vi affannate ad accumulare tesori sulla terra, dove tignola e ruggine consumano, dove ladri scassinano e portano via. Accumulatevi tesori in cielo, dove tignola e ruggine non consumano, né ladri e scassinatori portano via. Infatti, dov’è il tuo tesoro, lì sarà pure il tuo cuore” (Mt 6, 19-21). Chi ruba lo fa per procurarsi i mezzi per godere, ma la gioia procurata con mezzi illeciti genera rimorso ed insoddisfazione nell’anima, ed inoltre il denaro procurato ingiustamente quasi sempre è speso malamente: “Badate di tenervi lontano da ogni cupidigia, perché anche se uno è molto ricco, la su vita non dipende dai suoi beni” (Lc. 12,15). “Chi accumula ricchezze è il più povero dei poveri, perché non è padrone di se stesso: sembra un possessore, ma in realtà è dal denaro posseduto” (Sant’Antonio di Padova).

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