Anche i monaci buddisti hanno ravvisato un grave pericolo, quello dell’invasione demografica da parte dell’islam.
Da diverso tempo ormai, in alcuni paesi dell’Asia (Thailandia, Birmania e Sri Lanka), l’insofferenza dei monaci buddisti (che in questi Paesi rappresentano più del 70% della popolazione) nei confronti degli islamici è al culmine. Qualche mese fa, ad esempio, il monaco buddista Wirathu aveva sottolineato l’esigenza di rispondere all’invasione mussulmana con la violenza dichiarando: “Non è il momento per la calma. E’ il momento di reagire”.
Il monaco sottolineava come una reazione pacifica ad azioni violente (stupro di donne e aggressioni) non fosse utile a contrastare un problema sociale di preoccupante attualità. Nel corso dei mesi i Paesi in questione hanno applicato una dura legge repressiva nei confronti della popolazione eliminando qualsiasi forma di modernità, vista al momento come blasfemia: dunque nessuna statua di Buddha, nessuna immaginetta sacra, niente Buddha Bar nei locali (particolare musica che ha avuto un discreto seguito anche in occidente) e niente Buddha Fashion.
La repressione dovuta ad un ritorno del buddismo intransigente, dunque, è evidente ed è utilizzata per impedire che la cultura e la tradizione buddista possa essere contaminata dalle influenze occidentali e sopratutto islamiche. Questa forma di chiusura alla diversità ha portato a fenomeni di intolleranza di cui proprio Wirathu si fa portavoce: “I musulmani si riproducono in fretta, ci rubano le donne, le violentano. Vorrebbero occupare il nostro Paese. Ma non glielo permetterò. La Birmania deve restare buddista”.
L’azione repressiva è idealmente appoggiata dal clero buddista che giustifica la violenza (solitamente disapprovata dalla religione) come mezzo di autodifesa dal nemico. In questa guerra fomentata dall’idealismo e dalla paura del diverso a rimetterci sono quelle famiglie che, sebbene di tradizione islamica, giungono nei Paesi buddisti solamente per cercare rifugio da guerre ed ingiustizie. La minoranza islamica, infatti, è accusata (non diversamente da come fanno alcuni italiani con i profughi africani) di aver programmato un invasione demografica per prendere il controllo dei Paesi buddisti. Episodi di violenza sono stati riscontrati sopratutto a Rakhine (città al confine tra Bangladesh e Birmania) dove i monaci buddisti spronano i gruppi paramilitari a fare giustizia sommaria, allo scopo di cacciare dal Paese qualsiasi islamico.
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