Ogni giorno viaggiava da Firenze ad Assisi per portare documenti falsi e donazioni.
La carriera agonistica aveva regalato a Gino Bartali enormi soddisfazioni, i suoi duelli in salita con Fausto Coppi sono divenuti leggendari ed ancora oggi viene ricordato come uno dei più grandi ciclisti di tutti i tempi. Le vittorie al Giro d’Italia ed al Tour de France, però, erano solo una parte della sua vita. Lo stesso sport, a suo dire, assumeva un significato solamente se aveva una finalità didattica, se diveniva dunque “scuola di solidarietà e scuola di vita”.
Per chi non lo conosce possono sembrare parole di circostanza e per anni, proprio per la sua convinzione di derivazione cattolica che “Bene si fa, non si dice”, nessuno ha saputo che le ardue ascese gli avevano davvero dato una lezione che molti faremmo bene ad imparare: contro le ingiustizie bisogna lottare con tutti i mezzi a disposizione. Proprio per questo con le leggi razziali messe in atto, Bartali decise di sfidare i fascisti e salvare quante più vite possibile.
La possibilità di mettere in pratica quelle parole gli fu data dal cardinale Elia Dalla Costa (in quel papa Pio XII salvò circa 10.000 ebrei). Il prelato stampava documenti falsi per salvare la vita degli ebrei nascosti ad Assisi. Per trasportarli da Firenze all’Umbria gli serviva un corriere, un uomo che sarebbe passato inosservato. Quell’uomo divenne proprio Gino Bartali, il ciclista percorreva ogni giorno 380 chilometri facendo spola da Firenze ad Assisi e passando di tanto in tanto anche a Genova per raccogliere delle donazioni. Questa pericolosa impresa venne compiuta almeno 40 volte tra il settembre del 1943 ed il giugno del 1944. Grazie a quei documento 800 persone sono sopravvissute alla persecuzione nazi-fascista.
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Luca Scapatello
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