
Sembra che, la voglia di qualcuno di decidere del proprio futuro con estrema libertà, sia talmente esasperata da spingere altri -speriamo pochi- a definirsi di un genere diverso dai due che conosciamo: maschile e femminile.
Quelli vogliono appartenere al genere “U”, rimanere cioè asessuati, unisessuati o bisessuati (non saprei in che modo esprimerlo), più o meno come certe bambole o i robot.
Così, un bambino di nome Searyl, nato lo scorso anno in Canada, sarebbe stato considerato un maschietto dal resto del mondo, ma non da sua madre Koty che, sui documenti del piccolo, ha voluto non fosse indicato, in alcun modo, il suo sesso (primo caso al mondo).
Lei, sta cercando di diventare un uomo e dice di appartenere ad un genere non binario e non riconosce, pertanto, di essere esclusivamente maschile o femminile.
Sulla tessera sanitaria del/lla suo/a bambino/a, il campo che indica il sesso sarà segnato con la lettera “U”, che sta per “unassigned” (non assegnato) e “undetermined” (non determinato).
La/il madre/padre ha un piano: modificare la maniera in cui veniamo identificati alla nascita, convinta che, solo da adulti, si debba scegliere a che sesso appartenere.
Volutamente, nella frase precedente, ho usato il termine “nascituro”, che si può riferire ad entrambi i sessi e ringrazio la grammatica italiana per avermi sollevato all’impasse!
Anche altri, adesso, si stanno rivolgendo alla Corte dei Diritti Umani del Canada, per cambiare i loro certificati di nascita.
E come ce la caveremo, noi italiani soprattutto, con le desinenze maschili e femminili (di aggettivi e quant’altro), dovendo parlare dei membri della generazione “U”?
Appena il/la bambino/a arriverà a scuola e saprà distinguere i simboli sulla porta del W.C., come potrà scegliere dove dirigersi?
E, se Koty vuole essere un uomo fisicamente, ma non dichiararsi né tale, né donna, con quale parte del suo animo è diventata madre e saprà esserlo in futuro? Sarà maschio, femmina o “U” a giorni alterni?
Antonella Sanicanti