Il figlio di un carabiniere ucciso scrive alla maestra di Torino: “Le parole feriscono come un proiettile”

Il figlio di un carabiniere ucciso scrive alla maestra di Torino: “Le parole feriscono come un proiettile”
(Websource/Archivio)

In questi giorni la maestra di Torino che ha urlato in piazza, durante una manifestazione antifascista, parole d’odio contro i poliziotti che facevano da cordone, augurando loro la morte, è sulla bocca di tutti. Per quanto quelle parole potessero essere frutto del contesto e non indicative della sua reale volontà, infatti, la scuola ha deciso di sospenderla per atteggiamento non etico e contrario ai valori dell’insegnamento. C’è chi ritiene questa scelta eccessiva poiché viola la libertà d’espressione e chi invece ritiene che l’insegnante non dovrebbe più riavere il posto. Tra questi estremi si ergono le parole di un bambino, un alunno di 12 anni, che il padre Carabiniere non lo ha mai conosciuto perché morto nello svolgimento del suo lavoro quando lui aveva appena sei mesi. Il piccolo ha scritto una lettera in cui non condanna la donna (e non l’insegnante) per le sue parole né chiede che venga licenziata, ma le racconta di come dietro quella divisa che l’ha istigata all’odio c’è un uomo come tutti gli altri con affetti, desideri e progetti, un uomo la cui morte può pesare come un macigno a tutti i suoi cari.

Quando Donato Fezzuoglio è morto, Michele aveva solamente 6 mesi, 12 anni dopo il dolore per la perdita del padre non è mai sparito e le parole della maestra lo hanno profondamente colpito, al punto da convincerlo a portare la donna sul luogo in cui il genitore è stato ucciso: “Le faccio conoscere qualcosa di me e del posto dove vivo. Mi stringa forte la mano, ci troviamo ad Umbertide esattamente in via Andreani, si guardi intorno, osservi com’è tranquilla la cittadina. 12 anni fa alla sua destra c’era una banca, scattò l’allarme per rapina, arrivò la pattuglia del 112, i due carabinieri corsero in aiuto a cittadini in pericolo. Alcuni rapinatori rimasti fuori spararono alle spalle di papà e morì”. Michele porta idealmente l’insegnante all’interno della sua casa, della stanza in cui viveva il padre che, invece di essere riscaldata dalla sua presenza e dalla sua voce, è una stanza in cui regna il silenzio ed in cui la sua esistenza viene ricordata da attestati di merito e medaglie.

Il bambino conduce l’insegnante in un ultimo luogo, quel cimitero in cui il padre è seppellito e che per lui è come una seconda casa, quindi le chiede di immedesimarsi in lui e di toccare quella lapide in ricordo del padre a cui Michele ha raccontato tutte le sue esperienze, le sue difficoltà, le sue paure e le sue speranze. Poi conclude la lettera per motivare quel viaggio che desidera far fare all’insegnante: “Basta prof, la lascio tornare a casa, nel tragitto rifletta della lezione noiosa. Quando è arrivata guardi negli occhi suo padre e lo abbracci….Intanto io scrivo al Ministro, non per farla punire, ma per darle dei consigli. Vorrei mai più manifestazioni che incitano violenza, chi parla dovrebbe evitare parole che uccidono quanto quel proiettile di kalashnikov sparato alle spalle di quel carabiniere che per me voleva un mondo a colori…. Arrivederci prof…Buon rientro”.

Luca Scapatello

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