“Mi hanno legata al letto e hanno ucciso il mio bambino”, così “tuonava” uno dei messaggi che Farah lanciava su WhatsApp.
Lei ha 18 anni e viveva a Verona, finché la famiglia, di origini pakistane, non l’ha riportata in Patria e costretta ad abortire, il bambino che avrebbe avuto da un ragazzo italiano.
Su WhatsApp, Farah scriveva alle compagne di classe e al suo ragazzo: “Mi hanno fatto una puntura e hanno ucciso il mio bambino. Mio padre vuole che mi sposi qui”.
Ora, il caso è in mano alla Digos e si spera non abbia lo stesso epilogo di altre situazioni analoghe, che, ultimamente, riempiono le pagine di cronaca nera.
Già lo scorso anno, Farah aveva denunciato il padre per maltrattamenti. Si era, poi, trasferita in una casa-famiglia, prendendo parte al Progetto Petra, contro la violenze sulle donne, fino al 9 Gennaio scorso.
Aveva, successivamente, cercato una riconciliazione con la famiglia, in occasione del matrimonio del fratello, che le è stata fatale.
Ora, il padre e il fratello sono tornati a Verona, mente la madre e la sorella sorvegliano Farah: “non c’è nessuna volontà da parte della famiglia di lasciare libera la ragazza alla quale, a quanto ci è stato riferito, sono stati sottratti i documenti ed è costantemente sorvegliata dalla madre e dalla sorella”, dice l’Assessore ai Servizi Sociali della città, Stefano Bertacco.
Antonella Sanicanti
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