Ecco la risposta a chi dice Gesù sì, Chiesa no.

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L’espressione «Cristo sì, Chiesa no» esprime un atteggiamento mentale molto diffuso ai nostri giorni, specialmente fra i giovani. Si accetta (anche se bisognerebbe vedere esattamente in che senso) la figura di Gesù, ma si rifiuta l’istituzione ecclesiale con il suo apparato di leggi, norme, tradizioni. In particolare non si comprende la necessità dei sacramenti come mezzi privilegiati e addirittura necessari per entrare in contatto con Cristo. Prima di sviluppare brevemente alcune considerazioni su questo tema, mi pare utile un’osservazione preliminare. L’idea di fare a meno della struttura ecclesiastica per ritornare, si diceva, alla purezza del Vangelo, ha caratterizzato molti movimenti religiosi spiritualistici del medioevo (catari, valdesi ecc.) ed è stata ripresa dai riformatori protestanti a cominciare dal XVI secolo. Ma che cosa si è ottenuto con ciò? Si è aperta di fatto, e contro l’intenzione degli stessi riformatori, la strada all’illuminismo, alla massoneria e movimenti affini, che intendono eliminare non solo la Chiesa, ma anche Gesù Cristo come Figlio di Dio. E la negazione di Gesù Cristo ha portato, nel secolo scorso, all’ateismo e alla secolarizzazione, cioè alla negazione, almeno pratica, di Dio. In breve: si è cominciato col negare la Chiesa, si è proseguito col negare Gesù Cristo, si è finito col negare Dio. Questo processo, che ha indubbiamente una sua logica interna, non ci fa forse sospettare che l’errore fondamentale sia stato proprio quello iniziale, della negazione della Chiesa?

 

La continuazione dell’opera di Gesù Cristo

Riflettiamo un istante: Gesù Cristo aveva certamente coscienza di essere il Salvatore di tutti gli uomini, quindi si è certamente posto il quesito sul come assicurare a tutti la possibilità dì entrare in contatto con la sua dottrina e il suo messaggio. Ebbene, come cercheremmo noi, oggi, di soddisfare a questa esigenza? Probabilmente diremmo: è necessario mettere tutto per iscritto, neL modo più chiaro e senza possibilità di equivoci. Ora, Gesù avrà pensato a questa possibilità, ma non l’ha attuata: Egli non ha scritto nulla di quanto ha fatto e insegnato. E quando, alcuni decenni dopo la sua morte e risurrezione, cominciarono ad apparire i primi scritti cristiani, sì trattava di scritti occasionali, nati, se così possiamo dire, per caso, senza alcuna preparazione previa e senza alcuna pretesa di sistematicità. Perché tutto ciò? Perché Gesù aveva pensato di assicurare la continuazione della sua opera e la custodia del suo messaggio non tanto attraverso una documentazione scritta, quanto attraverso un’organizzazione viva, da Lui assistita mediante il suo Spirito: la Chiesa, appunto.

 

L’istituzione della Chiesa

 Se diamo uno sguardo al Vangelo ci accorgiamo subito che la parte più importante dell’attività di Gesù, quella a cui dedicò il massimo del suo tempo, delle sue energie e delle sue cure è stata la formazione degli Apostoli. Ciò appare sin dalla prima chiamata di Andrea, Pietro, Giacomo e Giovanni sulla riva dei lago di Genezaret, e in seguito dal suo stare insieme con gli Apostoli, anche dopo la sua risurrezione. Si noti in particolare il numero 12, caratteristico del collegio apostolico, numero altamente simbolico, che mostra l’intenzione di Gesù di costituire un nuovo Israele, il Nuovo Popolo di Dio. Bisogna attentamente meditare su questo fatto: Gesù non dedica il suo tempo, così prezioso, a scrivere un libro da consegnare all’umanità futura, ma spende le sue energie ed esercita tutta la sua pazienza (quanta!) a istruire i suoi Apostoli, dei quali dirà un giorno: «Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me» (Lc 10, 16). Al gruppo poi mette a capo Pietro, a cui da l’incarico di confermare gli altri Apostoli (cfr. Lc 22,32) e di pascere le sue pecorelle (le pecorelle di Gesù!) (cfr. Gv.21,15-17).Si noti, di passaggio, come l’istituzione di un capo del collegio apostolico non si possa adeguatamente giustificare se non nella previsione che questo collegio avrebbe avuto un prolungamento nei secoli seguenti attraverso la successione apostolica – che farà passare dal collegio degli Apostoli con a capo Pietro a quello dei Vescovi con a capo il successore di Pietro, il Papa -. Infatti gli Apostoli, formati direttamente da Gesù, non avevano, strettamente parlando, bisogno di un capo, ma i loro successori nel corso dei secoli certamente si, come del resto dimostra la storia.

 

Convenienza dell’istituzione ecclesiastica

L’istituzione della Chiesa è dunque un fatto, testimoniato dalla Scrittura; tuttavia anche con la nostra riflessione razionale possiamo renderci conto della convenienza e dell’oculatezza di questa scelta fatta da Gesù. La religione cristiana infatti non è, per natura sua, una «religione del libro», come lo è invece, per es., quella islamica. La religione cristiana è una religione che si riassume in una persona viva e concreta. Gesù di Nazaret, figlio di Dio, incarnato, morto, risorto e salito al Cielo. Vivere la vita cristiana significa entrare in contatto con Gesù persona viva. Ora, nella cultura semitica, vi era un modo per mettersi in contatto con altre persone, nell’impossibilità di raggiungerle fisicamente: l’istituto dello shaliah, o inviato. Lo shaliah era una specie di plenipotenziario, al quale il padrone attribuiva gli stessi suoi poteri, in modo che potesse stipulare contratti a suo nome e con la sua stessa autorità. Questo istituto dello shatiah permette di capire il senso dell’istituzione apostolica, e fa capire le parole di Gesù: «come il Padre ha mandato me, così anch’io mando voi» (Gv 20, 21); «Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me» (Lc 10, 16); «Pasci i miei agnelli» (Gv 21, 15). Noi entriamo dunque in contatto con Gesù persona viva attraverso l’annuncio e l’attività sacramentale di uomini inviati da Gesù, che Egli ha scelto come suoi ministri e ai quali ha detto: «Annunziate il Vangelo a ogni creatura» (Mc 16,15), «A chi rimetterete i peccati saranno rimessi» (Gv 20, 22) e «Fate questo – cioè rendete presenti il mio corpo e il mio sangue sacrificati per voi – in memoria di me» (Lc 22, 19). A ben riflettere è giusto che sia così, perché il Verbo si è fatto carne, non parola scritta, ed è conveniente dunque che continui a rendersi presente nel mondo mediante uomini vivi e mediante una parola vìva.

 

Un’ulteriore conferma

La necessità di un magistero ecclesiastico autorevole appare inoltre indispensabile per mantenere intatta nei secoli la vera figura di Gesù. Quanti respingono la Chiesa, infatti, a quale Cristo si rifanno? A un Cristo conforme ai ioro desideri, a un Cristo a loro immagine e somiglianzà: un Cristo semplice predicatore di un regno utopistico, oppure un Cristo rivoluzionario, o non violento, o semplice uomo, o non risorto e così via, a seconda dell’inesauribile fantasia della mente umana, sempre portata a rappresentarsi le cose a proprio modo.Scrive Romano Guardini: «Di fronte a tutte queste immagini e alla loro origine, come è possibile rimettersi fiduciosamente a quelle parole per cui «nessuno conosce il Padre se non Lui» e «nessuno giunge al Padre se non attraverso Lui»? E ciò significa: dove è l’istanza ultima che garantisce lo stesso Cristo? Qui sta la Chiesa (…). Cristo garantisce la realtà del Padre vivente; ma l’immagine stessa di Cristo viene garantita dalla Chiesa; detto con più esattezza, dallo Spirito Santo che parla in essa. Di lei Cristo dice: «Chi ascolta voi ascolta me, e chi rifiuta voi rifiuta Colui che mi ha mandato» (Lc 10,16). Nelle parole della Chiesa parla Lui, nelle sue parole parla il Padre (…). La Chiesa è l’educatrice alla libertà cristiana. Una libertà ovviamente diversa da quella che consisterebbe nella possibilità psicologica di scegliere ciò che è simpatico, o nella autonomia filosofica di giudicare secondo miei propri criteri ciò che mi appare giusto. Essa è quella libertà per la quale colui che è disponibile per la fede viene liberato dal vincolo dei presupposti psicologici, sociologici, storici e via dicendo, che lo bloccano nell’accesso alla piena realtà del Dio che si rivela in Cristo» (R. Guardini, La realtà della Chiesa, Morcelliana, Broscia 1967, pp.185-187). Più in particolare, la necessità di un magistero autorevole che garantisca l’autentica interpretazione delle Scritture contro il pericolo di deviazioni soggettive appare chiara anche da un semplice esame della storia.Mancando una norma obiettiva, nel mondo protestante, e ancor più in quello delle sètte, la Scrittura subì le più svariate interpretazioni individuali, come ci ricorda L. Bouyer, pastore luterano convertito al Cattolicesimo: «Sarà il frazionamento del Protestantesimo in sètte che si combatteranno fra di loro, combattendo contemporaneamente la Chiesa cattolica, con testi staccati dall’insieme, isolati dal complesso della Rivelazione, e le cui affermazioni fondamentali rischieranno di essere progressivamente oscurate a causa di un attaccamento rigido e inintelligente a particolari male intesi. Che cosa capiterà in seguito, per una reazione inevitabile contro quel caos e l’incertezza da esso provocata? Un’esegesi critica (…) che finirà inevitabilmente col giudicare la Scrittura pretendendo di spezzettarla, di superarla, di correggerla per lo meno, relativizzandone le affermazioni (…). A questo punto che cosa sussisterà del principio fondamentale della sovranità della Parola di Dio? Più nulla!» (L. Bouyer, Parola, Chiesa e Sacramenti nel Protestantesimo e nel Cattolicesimo,Morcellìana, Brescia 1962, p. 25).

 

Conclusione

 La pretesa di ricongiungersi direttamente a Gesù Cristo facendo a meno della Chiesa si rivela dunque illusoria. Di conseguenza al giorno d’oggi in cui più che mai, col diffondersi della laicizzazione e della secolarizzazione della società e il contemporaneo sorgere di tanti falsi profeti, appare necessario tenersi davvero stretti a Gesù Cristo, dobbiamo necessariamente rimanere fedeli alla Chiesa, unica via per andare a Lui, come Egli è l’unica via per andare al Padre.

 

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