Due giovani amici: San Giovanni Bosco e un ragazzo ebreo. Un dialogo… tutto da rileggere!
I Santi ci insegnano la via del Cielo. Mi hanno insegnato a leggerne la vita e a leggerne gli scritti, per star certo di ciò di cui mi nutro.
Così insegnava San Filippo: bisogna alternare la lettura delle vite dei Santi con la lettura degli scritti dei santi.
Stiamo preparandoci alla festa di San Giovanni Bosco e, stasera, leggendo il testo delle Memorie dell’Oratorio scritte dal Santo, mi sono imbattuto in questo brano. Racconta di un giovane San Giovanni Bosco, a dialogo con un suo caro amico, un giovanetto ebreo, di nome Giona.
Mi ha colpito per la chiarezza dell’insegnamento, l’efficacia della testimonianza, l’abbandono di ogni rispetto umano in favore della verità di Cristo:
– Noi ebrei non possiamo salvarci?
– No, mio caro Giona, dopo la venuta di Gesù Cristo gli ebrei non possono più salvarsi senza credere in Lui.
Ma leggete tutto il racconto di San Giovanni Bosco:
10. L’ebreo Giona
L’anno di umanità, dimorando nel caffè dell’amico Giovanni Pianta contrassi relazione con un giovanetto ebreo di nome Giona.” Esso era sui diciotto anni, di bellissimo aspetto; cantava con una voce rara fra le più belle. Giuocava assai bene al bigliardo ed essendoci già conosciuti presso al libraio Elia, appena giungeva in bottega, dimandava tosto di me. lo gli portava grande affetto, egli poi era folle per amicizia verso di me. Ogni momento libero egli veniva a passarlo in mia camera; ci trattenevamo a cantare, a suonare il piano, a leggere, ascoltando volentieri mille storielle, che gli andava raccontando.
Un giorno gli accadde un disordine con rissa che poteva avere tristi conseguenze, onde egli corse da me per avere consiglio. «Se tu, o caro Giona, fossi cristiano, gli dissi, vorrei tosto condurti a confessarti; ma ciò non ti è possibile».
– Ma anche noi, se vogliamo, andiamo a confessarci.
-Andate a confessarvi, ma il vostro confessore non è tenuto al segreto, non ha potere di rimettervi i peccati, né può amministrare alcun sacramento.
Da quel giorno cominciò ad essere affezionato alla fede cristiana. Veniva al caffè e fatta appena una partita al bigliardo cercava tosto di me per discorrere di religione e del catechismo. Nello spazio di pochi mesi apprese a fare il segno della S. Croce, il Pater, Ave Maria, Credo ed altre verità principali della fede. Egli ne era contentissimo ed ogni giorno diventava migliore nel parlare e nell’operare.
Egli aveva perduto il padre da fanciullo, la madre di nome Rachele aveva già inteso qualche voce vaga, ma non sapeva ancora niente di positivo. La cosa si scoprì in questo modo: un giorno nel fargli il letto ella trovò il catechismo che suo figlio aveva inavvedutamente dimenticato tra il materasso ed il saccone. Si mise ella a gridare per casa, portò il catechismo al rabbino e sospettando di quello che era di fatto, corse frettolosa dallo studente Bosco, di cui aveva più volte udito a parlare da suo figlio medesimo. Immaginatevi il tipo della bruttezza ed avrete un’idea della madre di Giona. Era cieca da un occhio, sorda da ambe le orecchie; naso grosso; quasi senza denti, labbra esorbitanti, bocca torta, mento lungo ed acuto, voce simile al grugnito di un poledro. Gli ebrei solevano chiamarla col nome di maga Lili [Lilith], col quale nome sogliono esprimere la cosa più brutta di loro nazione. La sua comparsa mi ha spaventato e senza dar tempo a riavermi prese a parlare così: «Affé che giuro, voi avete torto; voi, sì voi avete rovinato il mio Giona; l’avete disonorato in faccia al pubblico io non so che sarà di lui. Temo che finisca col farsi cristiano e voi ne siete la cagione».
Compresi allora chi era e di chi parlava e con tutta calma risposi che ella doveva essere contenta e ringraziare chi faceva del bene a suo figlio.
– Che bene è mai questo? Sarà un bene a far rinnegare la propria religione?
– Calmatevi, buona signora, le dissi, ed ascoltate: io non ho cercato il vostro Giona, ma ci siamo incontrati nella bottega del libraio Elia. Siamo divenuti amici senza saperne la cagione. Egli porta molta affezione a me; io l’amo assai, e da vero amico desidero che egli si salvi l’anima e che possa conoscere quella religione fuori di cui niuno può salvarsi. Notate bene, o madre di Giona, che io ho dato un libro a vostro figlio dicendogli soltanto d’istruirsi nella religione e se egli si facesse cristiano non abbandona la religione ebraica, ma la perfeziona.
– Se per disgrazia egli si facesse cristiano egli dovrebbe abbandonare i nostri profeti, perché i cristiani non credono ad Abramo, Isacco, Giacobbe, a Mosè né ai profeti.
Qui sarebbe lungo riferire gli attacchi fattimi più volte dalla madre, dal suo rabbino, dai parenti di Giona. Non fu minaccia, violenza che non siasi usata contro al coraggioso giovanetto. Egli tutto soffrì e continuò ad istruirsi nella fede. Siccome in famiglia non era più sicuro della vita, così dovettesi allontanare da casa e vivere quasi mendicando. Molti però gli vennero in aiuto e affinché ogni cosa procedesse colla dovuta prudenza, raccomandai il mio allievo ad un dotto sacerdote, che si prese di lui cura paterna. Allora che fu a dovere istruito nella religione, mostrandosi impaziente di farsi cristiano, fu fatta una solennità che tornò di buon esempio a tutti i chieresi e di eccitamento ad altri ebrei, di cui parecchi abbracciarono più tardi il cristianesimo.
Il padrino e la madrina furono Carlo ed Ottavia coniugi Bertinetti,” i quali
provvidero a quanto occorreva al neofito che, divenuto cristiano, poté col suo lavoro procacciarsi onestamente il pane della vita. Il nome del neofito fu Luigi
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