La parola “discernimento” si usa tanto in ambito ecclesiale e forse non è di facile o immediata comprensione.
“Per discernimento non si intende capire se uno si deve sposare o fare prete, per carità di Dio. Quella è una fase seconda, di una esistenza che è già impastata nella comunione con Dio. Che disastro che stiamo facendo a non fare questa distinzione!”.
Ne parla anche don Fabio Rosini, nel suo libro “L’arte di ricominciare”.
“Discernimento” è, in effetti, la parola che dovremmo tenere a mente ogni qual volta abbiamo bisogno di prendere la decisione più appropriata e non sappiamo bene cosa sia meglio fare.
“Discernimento” potrebbe, dunque, essere la nostra parola d’ordine, per almeno per il 50% della nostra vita.
Cristianamente parlando, il discernimento implica l’allinearsi al progetto di Dio, il saper capire cosa Dio vuole che facciamo, in quella certa situazione.
L’uomo non conosce la volontà di Dio, ma la “fiuta”, se si pone nel corretto atteggiamento.
E’ una sorta di sensibilità che si affina, mano a mano, con l’esercizio, che fa crescere la nostra fede e ci avvicina al Creatore, alla consapevolezza di ciò che significa farlo operare nella nostra vita.
Come è possibile che questo accada?
Semplicemente affidandoci alla preghiera di abbandono allo Spirito Santo, che, se invocato, non mancherà di farci sentire la sua forza, tanto da propagare la sua sapienza e, appunto, discernere, dissipando i nostri dubbi, chiarendo le nostre perplessità.
Ciò per cui ci alleniamo è creare un dialogo con Dio, in modo da facilitare una relazione tra noi e lui.
Questo renderà il discernimento sempre più immediato e consapevole.
Si tratta di capire, in ogni istante, la nostra vocazione, quella dettata dall’amore di Dio per la sua creatura, per noi che stiamo agendo, a suo nome nel mondo.
Antonella Sanicanti
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